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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » SPY FINANZA/ Le vere priorità Usa nascoste dal caos dazi

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SPY FINANZA/ Le vere priorità Usa nascoste dal caos dazi

In poco più di un giorno sono successe cose riguardanti la guerra dei dazi che non possono non colpire e non interrogare

Mauro Bottarelli
Pubblicato 25 Aprile 2025
Scott Bessent durante l'audizione al Senato (Ansa)

Scott Bessent durante l'audizione al Senato (Ansa)

Ciò che state per leggere rappresenta la sintesi in punti di quanto accaduto nelle ultime 36 ore sul fronte della sedicente guerra dei dazi o commerciale che dir si voglia. A prova di verifica con tutte le AI che volete.

Punto 1, Donald Trump dichiara che i dazi verso la Cina non saranno fissati fino al tetto massimo del 145% e che, invece, scenderanno sostanzialmente.


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Punto 2, il segretario al Tesoro, Scott Bessent, gli fa eco, parlando di insostenibilità di un confronto economico con la Cina ed evocando una de-escalation, poiché la Casa Bianca non vuole un de-coupling dall’economia del Dragone.

Punto 3, alla vigilia del discorso del medesimo Bessent agli spring meetings del Fmi, il Wall Street Journal anticipa che le tariffe contro Pechino saranno nell’ordine del 50-65%.


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Punto 4, nel corso del suo intervento, Scott Bessent sottolinea con molta enfasi come America First non significa America da sola.

Punto 5, al tempo stesso, però, il segretario al Tesoro oppone un netto no comment a chi gli chiedesse una conferma delle indiscrezioni del Wall Street Journal.

Punto 6, sempre il successore di Janet Yellen getta ulteriore acqua gelata sulle speranze del mercato di una tregua, confermando come Donald Trump non sta offrendo una diminuzione unilaterale delle tariffe alla Cina e che, soprattutto, i negoziati commerciali con Pechino richiederanno 2-3 anni.

Punto 7, Wall Street azzera tutti i guadagni e vira in nuovamente negativo. Il tutto tenendo ben in mente un riferimento temporale. Scott Bessent ha parlato a New York alle 10 del mattino ora locale.


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Punto 8, alle 17 ora di Washington, Donald Trump tiene una conferenza stampa.

Punto 9, eccone i contenuti principali, nei virgolettati del Presidente: Non ho mai abbassato le tariffe verso la Cina, ho solo detto che sono alte. Ma non le ho abbassate; Non ci sarà nessuna esenzione dal regime di dazi per autovetture e loro componenti (a fronte di un’indiscrezione in tal senso rilanciata solo un’ora prima, questa volta dal Financial Times); Il regime tariffario del 25% verso il Canada può aumentare; Non ho richiamato Jerome Powell, ma potrei farlo perché tiene i tassi troppo alti.

Punto 10, tutto da capo.

Ora, vi servono ulteriori prove della pantomima a soggetto in cui siamo precipitati? Tutto questo è accaduto in meno di 36 ore e ha avuto come protagonisti non Carlo Calenda e Matteo Renzi, bensì il Presidente degli Usa e il suo segretario al Tesoro. Ovvero, gente in grado di schiantare i mercati per centinaia miliardi con una sola parola fuori contesto. Qui siamo di fronte a uno tsunami fuori contesto. E a ciclo continuo.

Con l’aggravante che, prima di smentire tutto lo smentibile e mantenere in vita il flip-flop delle tariffe, esattamente come Joe Biden sfruttò quello dell’inflazione, il Presidente aveva ricevuto alla Casa Bianca 250 detentori della sua memecoin, quasi fosse un Giorgio Mastrota qualunque che piazza pentole e materassi.

Nemmeno a dirlo, il valore di quella patacca è volato alle stelle. Ma si sa, turbativa di mercato, aggiotaggio e insider trading ormai sono creature mitologiche. Lo ripeto, George Orwell e Samuel Beckett non avrebbero potuto prospettare uno scenario simile nemmeno sotto l’effetto di oppio e assenzio messi insieme. E con tassi di somministrazione da cavallo.

I soliti americani, direte voi. E invece no. Perché mentre in America andava in scena tutto questo, certamente l’Europa dimostrava di non voler essere da meno. In primis, la Commissione giuridica del Parlamento europeo rimandava al mittente l’iter procedurale accelerato che la Commissione voleva imporre al suo delirante piano di riarmo da 800 miliardi.

Ovvero, tanto per utilizzare un linguaggio molto frequente nel contesto politico italiano, la Commissione JURI riteneva insussistenti le prerogative di necessità e urgenza necessarie per bypassare l’Europarlamento e legiferare in regime di decretazione ad hoc dell’organo di governo. Insomma, un bel plico di raccomandazione e un tutto da rifare per la povera Ursula von der Leyen. Chissà se l’Armata Rossa rinvierà i suoi piani di invasione di Cinisello Balsamo in ossequio al fair play?

Direte voi, ti pare un argomento da trattare in punta di sarcasmo? Ovviamente, sì. E non in ossequio al motto Una risata vi seppellirà che certi abusi deliranti del potere meritano, bensì per questo.

Come vedete, la fonte è cinese. E decisamente ufficiale, trattandosi del South China Morning Post. Dal quale apprendiamo che la medesima Europa che minaccia guerra alla Russia e in tal senso vuole spendere 800 miliardi per armarsi e partire, sta completando l’ultimo livello di confronto con emissari di Pechino per giungere a una normalizzazione delle relazioni che porti all’immediata revoca delle sanzioni reciproche rispetto a istituzioni e loro rappresentanti. In primis, gli europarlamentari banditi e che ora potrebbero invece tornare a viaggiare in Cina e suoi satelliti.

Insomma, la stessa Europa che stracciava i resti sparsi del Memorandum per la Nuova Via della Seta, utilizzando la sciagurata Italia come poster-boy dell’ennesima pagliacciata, sta trattando ai massimi livelli con la Cina. Questo, proprio mentre gli Usa minacciano fuoco e fiamme verso chiunque non opponga un atteggiamento di netta contrapposizione verso Pechino e i suoi interessi commerciali.

Ora, siete ancora convinti che sia in atto l’Armageddon che vi stanno raccontando oppure sotto a questa colossale pantomima c’è dell’altro? Qualcosa di talmente serio da necessitare non solo un occultamento ai massimi livelli mai messi in campo dalla macchina della dissimulazione, ma, addirittura, qualcosa che spinge il segretario al Tesoro Usa a guadagnarsi 2-3 anni di tempo, in modo da poter sfruttare quello spauracchio di credibilità almeno per i prossimi sei mesi. Durante i quali, a quale reale priorità devono dare risposta gli Usa?

Stessa chiusa dell’articolo di ieri, anche per oggi: tout se tient. Letteralmente.

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