Deve essere un qualcosa che ha a che fare con il mese di maggio. Trump e l’Arabia Saudita hanno un feeling particolare con questo periodo dell’anno.
Ricordate nel 2017, la famosa danza delle sciabole che doveva addirittura sancire la nascita della Nato araba guidata da Ryad sotto stretto controllo statunitense per ridisegnare la geografia dell’area? Ricordate le elucubrazioni più o meno dotte rispetto al cambio di strategia mediorientale degli Usa, quasi un fuori Israele, dentro l’Arabia?
Bene, cosa si è sostanziato in realtà di quelle premesse fiorite durante una cerimonia molto ampollosa nel Palazzo reale di Ryad? Nulla. Addirittura l’Arabia ha aperto alla Cina e flirtato con l’annessione ai Brics. In compenso, negli ultimi 8 anni da quelle parti è accaduto di tutto. Ricordatevene, quando leggerete commenti gongolanti rispetto alla commessa miliardaria che Boeing ha ottenuto dal Qatar come appendice del viaggio mediorientale del Presidente.
E, soprattutto, dei suoi due atti più evocativi. Ovvero, sostenere come sia suo dovere difendere l’Arabia Saudita anche militarmente e, rullo di tamburi, l’eliminazione delle sanzioni contro la Siria post-Assad. E saldamente jihadista.
Ricordatevene, perché tutto questo avrà conseguenze. Ricordatevene, perché giocare con il cerino della propaganda vicino ai pozzi di petrolio a volte può risultare decisamente entusiasmante da un punto di vista scenico. Ma poi, di colpo, ci si ritrova dentro crisi devastanti.
E mentre tutto tace, ad esempio, da una settimana in Libia si è tornato a sparare. Giusto in tempo per l’estate, il mare calmo e l’esodo di profughi. Con la Turchia che torna mazziere dell’area e pronta a un bel ricatto sulla rotta balcanica. Segnatevi questa mia previsione. Fra un paio di settimane vedremo se era esatta.
Il cuore nero del potere sta lavorando alacremente in questi giorni. E lo fa con il consueto garbo, evitando di disturbare troppo. Giusto il minimo sindacale di panico percepito.
Volete un esempio? Prendete l’altro grande auto-rivendicato successo diplomatico di Donald Trump. Ovvero, il cessate il fuoco fra India e Pakistan. In tal senso, su molti giornali erano presenti ricostruzioni di come il Presidente Usa abbia mediato direttamente e fino all’ultimo secondo per evitare che si arrivasse a uno scenario da Thirteen days. Probabile che sia andata così.
Ma ciò che deve far pensare è che non sia stata una singola testata a presentare la ricostruzione come esclusiva. Bensì, molte. Tutte uguali. Sintomo che quell’esclusiva tale non è. A qualcuno serviva la maggiore eco possibile per una storia costruita e limata da un team di spin doctors di primo livello. In tal senso, torno a consigliarvi Wag the dog, se non lo avete ancora visto.
E ora guardate questo grafico. Ci mostra l’andamento nell’ultimo mese dell’indice indiano Nifty50. Poco ci importa degli ultimi tre, quattro giorni di reazione pavloviana. Ci interessa la settimana della grande paura, quella del rischio di guerra imminente.
Vi pare un andamento che prezza il rischio di un potenziale conflitto atomico, visto che entrambe le nazioni sono dotate di armamento nucleare? A me sembra un indice in stand-by di qualcosa. Ora schiacciamo il tasto fast forward e arriviamo a oggi. Per l’esattezza, al 13 maggio. Cessate il fuoco proclamato e grande sospiro di sollievo collettivo. Donald Trump rivendica e gongola. La stampa ciclostila ricostruzioni esclusive. Quel giorno il Nifty50 perse l’1,39%. Perché?
C’è una spiegazione da finestra di Overton, almeno a mio avviso. La Sebi, il regolatore di mercato indiano, aveva parlato. Rendendo noto come, stante i risultati dello studio sull’utilizzo individuale di opzioni sugli indici nel periodo fra dicembre 2024 e marzo 2025, probabilmente occorrerà emanare nuove restrizioni dopo quelle entrate in vigore lo scorso novembre. Il calo su base annua c’è stato, ma rispetto a due anni prima l’utilizzo di quei derivati è in netto aumento.
Ora, mi taccio. E vi invito ora a guardare questi tre grafici. Ebbene, gli hedge funds statunitensi sono pesantemente esposti sul mercato azionario indiano via opzioni. Pesantemente. E questo significa su ratio superiori a quelle della stessa Wall Street, tanto per capirci. Tanto da aver garantito che la bolla si gonfiasse. E che l’indiano medio decidesse di giocarsi anche le ciabatte in Borsa. Ma lo scorso novembre, un drastico calo. Restrizioni. Rischio di rug pull che poteva far male. Anche agli hedge funds statunitensi esposti. Alcuni dei quali, reduci da sanguinose ma necessarie margin calls nel mese di aprile, stante il loro livello ormai non più occultabile di leverage.
Magari uno grosso spavento può riportare tutti a più ottimistici approcci, una volta sventata la minaccia? E invece, il 13 maggio la Sebi mette il carico da novanta. Preannuncia nuove restrizioni al casinò. A New Delhi sono duri di comprendonio, forse? Eppure, trattasi dello Stato con cui gli Usa hanno millantato il primo accordo commerciale, quello stretto da JD Vance. Lo Stato che dovrebbe ospitare il trasferimento della produzione cinese di iPhone. O forse, adesso, quella produzione resterà in Cina, stante il millantato accordo fra Washington e Pechino siglato in Svizzera lo scorso weekend?
O forse, come vi ho detto a suo tempo, quelle produzioni dalla Cina non si sarebbero mai mosse veramente, stante le draconiane clausole statali per chi delocalizza nel Dragone, le quali non avrebbero mai consentito che muovesse equipaggiamenti e macchinari?
Riguardate l’andamento del Nifty 50 nella settimana della grande paura atomica, roba da Dottor Stranamore. Era in attesa. Non in ansia. Tantomeno nel panico. Bene, se volete un consiglio, tenetelo d’occhio da oggi in poi, a tempo perso. Un’occhiata veloce al giorno. Perché la Sebi rischia di risultare più market mover di Islamabad. E se Nuova Delhi non capirà l’antifona, quell’approccio così amichevole di Washington potrebbe mutare in un attimo. E la retorica sui Brics manipolatori commerciali e valutari potrebbe casualmente tornare di gran moda.
Leggete fra le righe quanto sta accadendo. Perché da qui all’autunno, ne pagheremo il prezzo.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.