Bastano quattro grafici per capire cosa stia accadendo. Realmente. Non servono molte parole. Perché si sa, l’eccesso di verbosità spesso e volentieri cela assenza di contenuti. Occorre montare la panna, quando la torta su cui va versata è decisamente piccola e mal lievitata.
Cominciamo da qui. Prendete questi primi due grafici, i quali ci mostrano come quelle che vengono comunicate come emergenze siano in realtà una delle certezze più fondanti e tranquillizzanti di uno status quo che cominciava a traballare.
Nel nostro universo parallelo, le emergenze stabilizzano. Ad esempio, prendiamo la questione dazi. La giornata di ieri ha registrato un’altra ondata di annunci su aggravi tariffari fra Usa e resto del mondo. Cina soprattutto. Ultimi protagonisti, acciaio e alluminio. Bene, il primo grafico ci mostra come, al netto della pantomima con Canada e Messico, la mossa roboante e l’annuncite cronica della Casa Bianca si sia tramutata a tempo di record in market mover. Anzi, qui siamo al vero e proprio flip-flop strutturale e di prezzatura ex ante. Esattamente come è stato per trimestri interi rispetto alle dinamiche dell’inflazione.
Una percentuale record del 44% di aziende quotate sullo Standard&Poor’s 500 ha infatti inserito la questione tariffaria nelle sue earning calls dell’ultimo trimestre 2024. Nemmeno durante la prima guerra commerciale Usa-Cina del 2018 si arrivò a questo livello. Ed esattamente come allora, di fronte a noi abbiamo più una recita a soggetto che una reale emergenza. Perché gli annunci contano poco, ciò che conta sarà l’elenco delle cosiddette waivers. Le esenzioni. Quelle che fecero la differenza proprio nel corso del braccio di ferro simulato con Pechino della prima Amministrazione Trump.
Ora date un’occhiata al secondo grafico, quasi un gemello siamese del primo. Alla faccia del Black Monday e di DeepSeek (già sparita dalla scena, ovviamente), ecco che addirittura un 50% di aziende quotate sullo Standard&Poor’s 500 ha citato l’AI nelle sue earning calls dell’ultimo trimestre 2024. Una percentuale che è quintuplicata negli ultimi due anni. E appunto nonostante l’incidente di credibilità percepita di due settimane fa, anche in questo caso i numeri annullano le chiacchiere. Le sole Amazon e Alphabet segnalano e certificano nelle loro guidelines aziendali un CapEx combinato sull’AI da 179 miliardi per l’anno in corso. Ovvero, soltanto quei due soggetti investiranno nell’El Dorado tech qualcosa come quasi 200 miliardi nell’anno in corso.
Alla faccia della messa in discussione del reale grado di credibilità di certi prezzi e bilanci dei big statunitensi rispetto ai loro competitor cinesi. Di fatto, l’impressione è quella di un Black Monday generato a tavolino per operare da stress test. E la sparizione dalla scena mediatica di DeepSeek, degna dell’attenzione di Federica Sciarelli, pare offrirci una conferma implicita.
Veniamo ora al terzo grafico, il quale ci mostra come su un totale di 36,2 trilioni di dollari di debito pubblico statunitense, quest’anno andranno a scadenza o andranno rifinanziati titoli per 9,2 trilioni di controvalore.
Si tratta del 25,4% di quel totale monstre. Pensate che sarà possibile farlo con la Fed in modalità Qt, ovvero ancora con il colpo di coda di un dimagrimento del bilancio dall’indigestione pandemica che immetta sul mercato secondario ulteriore carta, oltre a quella che sarà necessario emettere da zero e con il badile? Assolutamente, no. Ecco, quindi, che i due settori fondamentali del mercato azionario vengono paradossalmente ancorati alla loro realtà parallela di rally perenne e conti totalmente fuori da ogni riscontro oggettivo.
Come? Attraverso il flip-flop che due voci catalizzatrici come AI e tariffe garantiranno. Quando servirà la rotazione verso l’obbligazionario, Wall Street prenderà la purga. Quando occorrerà far correre Mr. Smith al pc o al telefono per acquistare titoli, ecco che un rasserenamento mediaticamente spinto delle prospettive di quei due comparti-chiave esploderà su stampa e social, garantendo l’ennesimo assalto alla diligenza e l’ennesimo rally. Sostenuto a latere da buybacks e short squeezes, poiché esisterà sempre qualcuno così idealista/realista da scommettere al ribasso su settori con valutazioni palesemente manipolate e gonfiate. E anzi, più lo short interest aumenta, più il rimbalzo sarà prepotente.
Trattasi di uno schema preordinato. Un playbook tanto noto, quanto sempre efficace. O pensavate davvero che i soldi di Usaid servissero solo per garantire stampa favorevole ai deliranti tesi woke o alla narrativa filo-ucraina?
Infine, ecco l’ultimo grafico. Il contributo occupazionale del settore privato negli Usa oggi è in pieno territorio di recessione conclamata. Tradotto, la patria del libero mercato e del capitalismo vede un percentuale record del proprio dato occupazionale garantita da assunzioni in ambito federale, fra maestre, infermieri e sceriffi.
Ecco quindi spalancarsi la finestra efficientista rappresentata dal Doge di Elon Musk, la quale opererà da detonatore e accelerante di quanto rappresentato nei primi due grafici. E ancora una volta, in punta di paradosso. Perché per liberare le energie, gli animal spirits della libera intrapresa e del settore privato, ecco che lo Stato tagli-sprechi invocato dal capo di Tesla entrerà in prima persona nello scontro con Pechino garantito a livello di percezione di mercato dallo spauracchio tariffario. Insomma, per fare grande ancora una volta l’America, lo Stato dovrà fare la sua parte. Un cortocircuito. Ma preparato a tavolino con precisione e meticolosità manipolatrice certosina.
Siamo dentro Matrix. Il problema è che tutti i soggetti partecipanti e interessati ne sono consci e tutti recitano il loro ruolo a soggetto. Tutti. Tranne uno. L’Unione europea. La quale si farà male sul serio, a differenza dei competitor. E ben più del 2018.
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