Nel Pd i riformisti sono stanchi di tirare l’acqua al mulino della Schlein e alla sua deriva massimalista. E il referendum ha aggravato il malcontento
Mentre il mondo brucia, nel Pd si scalda l’aria ancor di più. Il flop referendario, oltre che numerico, ha una doppia lettura. L’area riformista si sente sempre più nel ruolo di Cassandra, predittrice di sventure non creduta. Il posizionamento accanto a Landini ed alla parte della sinistra estrema allontana la piccola borghesia senza sfondare nei ceti popolari.
L’analisi dei flussi dice che l’essersi aggiudicati numeri più alti nelle città non è sufficiente a dare un senso al partito come forza di governo. Anzi. Più ci si sposta sinistra, meno si cresce.
Ed invece il gruppo dirigente quasi esulta. Ritiene di aver compattato il fronte dei duri e puri ed aver ritrovato un dialogo con la Cgil. Di aver costruito un’identità e rivitalizzato il partito. Anzi, i referendum sono un vittoria politica.
Entrambi però sanno oggi che creare una alleanza vincente non sarà semplice. Conte, come al solito, si è sfilato all’ultimo e ritiene conclusa ad oggi l’esperienza della condivisione con il Pd delle battaglie. Da oggi in poi parte la campagna identitaria M5s per promuovere Conte e sfidare la Schlein sulla leadership. È l’unica vera questione che gli interessa. Mettere assieme M5s e Pd non sarà facile.
Ma il vero tema è che sono fallite tutte le manovre per rimettere il Pd su posizioni più coerenti con le istanze riformiste interne. La carta-Prodi è stata giocata con forza ma è stato inutile. Lo stesso Professore è sfiduciato: i suo appelli caduti nel vuoto sono un chiaro segnale che la sua eredità si sta dissolvendo e con questa constatazione sale la consapevolezza che il Pd è sempre più incapace di tenere dentro tutte le sue anime.
Cosa faranno? Per ora di rottura aperta non si parla, ma il dialogo tra chi è dentro il Pd in sofferenza e chi ne è uscito si infittisce sempre più. E prende corpo l’idea di un muto dissenso per far uscire una parte di riformisti rimasti nel Pd in modo da creare un aggregato esterno. Ma la mossa sta in capo a loro. La Schlein tirerà diritto e non vuole sentir parlare di manovre. Lei ha vinto, lei comanda.
Questa sua posizione, tuttavia, potrebbe spingerla a puntare ad un congresso straordinario per fare chiarezza. Con la sua idea di ottenere la corona definitiva e sfidare prima Conte e poi Meloni. Un sorta di conclave pilotato da cui uscire incoronata il prossimo anno. Ma spesso si entra nei conclavi papi e si esce cardinali. Così qualcuno spera.
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