Zelensky incontra Vance e Rubio a Roma e definisce buono l’esito dell’incontro. Dopo i colloqui di Istanbul, però, sono Trump e Putin che stanno riprendendo in mano il dossier ucraino, con una telefonata che dovrebbe essere imminente e un faccia a faccia che le parti stanno preparando.
In realtà, osserva Fabio Mini, generale già capo di stato maggiore della NATO per il Sud Europa e comandante delle operazioni di pace della NATO in Kosovo, per i presidenti russo e americano questa non è la vera priorità. Prima devono finire di ridisegnare i rapporti tra loro, rilanciare la cooperazione fra Washington e Mosca, in un contesto nel quale c’è anche la questione ucraina da risolvere.
Un’intesa fra russi e americani, tuttavia, non garantirebbe la fine del conflitto, perché gli europei, almeno sulla carta, sono fautori di una sorta di interventismo in Ucraina che li metterebbe anche in contrapposizione con gli USA. Intanto i russi stanno preparando una soluzione militare: hanno altri uomini da impiegare nello scenario ucraino per risolvere la questione sul campo di battaglia.
L’unica carta da giocare per chiudere la guerra in Ucraina è davvero l’incontro Trump-Putin?
Le cose si risolvono se si parlano Russia e USA. Il livello del confronto non è determinante. I colloqui sull’Ucraina sono la priorità numero due per russi e americani, conta di più la ripresa dei contatti diplomatici, la cooperazione, la revoca delle sanzioni.
Per questo dico che si devono parlare le due amministrazioni, assecondate dai loro vertici. Un aspetto non scontato: se Lavrov dice una cosa, Putin la conferma, ma se lo fa Rubio non siamo sicuri che Trump resti sulla stessa linea.
Il rapporto diretto fra i presidenti è fondamentale, ma lo è anche quello tra le amministrazioni: se si devono per forza coinvolgere in prima persona i leader significa, invece, che c’è una carenza di amministrazione, almeno da una parte. Se Trump vuole parlare con Putin, vuol dire che non si fida dei suoi e dell’amministrazione di Putin.
Alla Russia e agli USA, quindi, interessano prima di tutto i loro rapporti sulla scena globale. Ma qui c’è una guerra che va avanti: c’è possibilità di chiuderla?
Se i colloqui vanno avanti e si sviluppano al livello più alto, è perché russi e americani vogliono mettersi al sicuro. Credo che sotto questo aspetto la situazione si sia sbloccata a partire dalla telefonata dei mesi scorsi fra Trump e Putin. Da allora le amministrazioni stanno lavorando sul ripristino di una serie di accordi, compresi quelli sul nucleare, il controllo degli armamenti e il disarmo parziale.
Penso che da questo primo livello possa venire fuori molto. Poi c’è il livello regionale. E qui entra in gioco la frenesia delle dichiarazioni per cui l’Europa deve intervenire nei negoziati e l’Ucraina deve avere le garanzie. La questione Russia-Ucraina, però, è “un dettaglio”. Sembra brutto dirlo, ma è così.
Su questo dettaglio, però, come la pensano Washington e Mosca?
Gli Stati Uniti hanno già dimostrato che vogliono una parte di Ucraina. Tutti dicono che Putin vuole prendersi tutto il Paese. In realtà, gli bastano i territori che ha sempre detto di volere. Anzi, all’inizio della guerra chiedeva la denazificazione del governo di Kiev e la neutralità dell’Ucraina.
Adesso, però, le truppe russe sono in territorio ucraino: bisognerà tenere conto di questo, mettendo le cose nella giusta prospettiva. Se si confrontano i due leader, comunque, significa che c’è già un accordo per parlarsi. Ed è già tanto. Il problema è che l’Ucraina pone prerequisiti e condizioni inaccettabili per i russi. E anche se ci fosse un accordo Trump-Putin, non garantirebbe la soluzione del problema.
Cosa potrebbe mettere in dubbio ancora la fine della guerra?
C’è un interventismo europeo, una preparazione alla guerra che in Europa procede. Se gli Stati Uniti si sfileranno da questo tipo di politica, bisognerà vedere se lo faranno anche gli europei. Non credo che lo faranno: con la direzione che hanno preso dovranno andare fino in fondo, a costo di mettersi contro l’America.
J.D. Vance e Zelensky erano all’insediamento di Leone XIV e il presidente ucraino ha incontrato il papa: la Santa Sede può giocare un ruolo nelle trattative?
Il Papa dirà quello che ha sempre detto, che bisogna andare verso la pace e rinunciare alla politica degli armamenti. Non credo che la Santa Sede possa avere un ruolo da mediatore. Mediazione significa che qualcuno deve cedere, deve arrivare a compromessi. Chi non li accetta ora è l’Ucraina, supportata dalla UE. Il Papa non può rischiare di mettersi in mezzo.
La Segreteria di Stato vaticana è sempre molto attenta agli equilibri: la Santa Sede può avere un ruolo culturale e contribuire a cambiare l’approccio in una partita che non è solo europea.
Su quali altri piani si gioca questa partita?
Bisogna vedere come funzionano le cose con la Cina. E Pechino non è sola nel mondo, non solo perché è alleata con la Russia. Con loro, gli USA dovrebbero essere i primi a cedere, rinunciando a una guerra guerreggiata contro la Cina: significa, per esempio, dimezzare gli armamenti, così come l’Europa dovrebbe dimezzare gli impegni che ha preso in questo ambito. C’è un riarmo generale che ci allontana dalla pace.
Nell’ultima notte i russi hanno usato il numero record di 273 droni per attaccare diverse località. È il segno che stanno preparando un’offensiva come ormai si vocifera da tempo?
Sì. I russi hanno aumentato il loro potenziale bellico, si sono sfilati dalle sanzioni aggirandole e, grazie alla Cina, non hanno problemi né a vendere energia, né a ottenere materie prime, ma hanno a che fare con le resistenze di Zelensky manifestate anche nel negoziato: il presidente ucraino non pensa alla propria nazione, ma a sé stesso e ai suoi rapporti con gli europei.
E allora da parte della Russia c’è in preparazione un intervento più massiccio per vincere sul campo di battaglia. Ci sono due armate di riserve che sono state ricondizionate: 250mila uomini pronti a entrare in scena. Gli ucraini hanno le loro unità schierate, ma dietro non c’è niente, sperano che vengano a dare man forte francesi, tedeschi e inglesi. Speravano che arrivassero gli americani, che però non vogliono andare in Ucraina a perdere tempo.
(Paolo Rossetti)
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