Avete presente Jens Stoltenberg, il norvegese ex segretario generale della NATO, quello con gli occhialini e il piglio da duro che per due anni e mezzo ha quotidianamente scaldato i cuori occidentali, tutto infervorato per la guerra in Ucraina, la assoluta necessità di fornirle nuovi armamenti e mettere sempre di più sanzioni alla Russia, specialmente in campo energetico?
Uno che – se vi ricordate – gelava sempre ogni possibilità di intesa ironizzando su qualsiasi spiraglio di pace tanto da sembrare (ed essere) un guerrafondaio ad oltranza, quasi un sobillatore dell’opinione pubblica. “D’altronde – diceva – la libertà non ha prezzo!”
Vero. Fatto sta che, lasciata la NATO, Mr. Stoltenberg non è sparito, ma è solo tornato a casa, diventando subito il nuovo ministro delle Finanze della Norvegia. Paese già “neutrale” che – guarda la combinazione – ha le più vaste riserve di petrolio e gas naturale del nostro continente dopo la Russia e ha contribuito a compensare parte del crollo delle forniture di Putin a questa Europa assetata di energia.
Che altruismo, che sensibilità: soccorrere l’Europa nel momento del fabbisogno energetico è stato segno davvero di fraternità universale. Oppure, per Mister Stoltenberg, era un gigantesco conflitto di interessi, almeno morale?
Piccolo, marginale aspetto: forse non era tutto “pro bono”? Perché se “la libertà non ha prezzo”, lo ha però il costo del gas, soprattutto quando sale sul mercato internazionale e la speculazione preme (e controlla) la ben nota borsa di Amsterdam nell’evidente debolezza (o connivenza) dei governi.
“Finché c’è la guerra c’è speranza”, si dice, e vale (ed è valso) soprattutto visti i massicci aumenti del prezzo del gas rispetto al pre-guerra e con in parallelo una vertiginosa ascesa dei profitti. Così chi lo vende ci guadagna e la Norvegia in questi tre anni di guerra di profitti energetici ne ha lucrati eccome, perché man mano che forzatamente diminuiva la quota di gas russo serviva quello “alternativo”, in primis quello norvegese che in Europa è quasi a portata di mano.
Diciamo subito che per l’Italia il gas della Norvegia non è molto cresciuto di importanza, anzi nel 2024 il suo flusso è stato in leggero calo stabilizzandosi più o meno su un decimo del totale del nostro import, ma per l’Europa nel suo complesso è stato un discorso ben diverso.
Se fra il 2021 e l’anno scorso gli acquisti di metano scandinavo sono infatti cresciuti, come volume, solo del 5,8% del totale (questo secondo la banca dati del Centro studi Bruegel di Bruxelles) il costo di quel gas sul mercato è letteralmente esploso.
Siamo passati da una media di 15,9 miliardi di euro di fatturato all’anno (periodo 2016-2020) a un incasso di 74,3 miliardi di euro in media all’anno, calcolando la media dall’inizio della guerra a dicembre scorso. Incassi quindi cinque volte di più e senza praticamente aumentare l’estrazione, solo per la speculazione sui prezzi che sono stati una manna per Oslo e dintorni.
E non c’è poi solo il gas, ma anche il petrolio, con giubilo della Equinor, società che in Norvegia ha il monopolio del settore ed è controllata per il 67% dallo Stato, mentre il resto è nelle mani dell’azionariato diffuso. Il titolo è quotato alla borsa di New York e si fa in fretta a fare i conti, verificando come nel quinquennio precedente alla guerra in Ucraina la società ha pagato al governo norvegese 7,2 miliardi per imposte e dividendi, mentre l’anno scorso le imposte sul reddito sono schizzate a 31 miliardi, con 6,1 miliardi di dollari di dividendi, sui quasi 10 miliardi di profitti totali.
Insomma, la Norvegia ha guadagnato davvero bene dall’aggressione russa in Ucraina e se per qualche trattativa fosse improvvisamente scoppiata la pace, addio guadagni. Quindi l’aggressione di Putin ha almeno fatto felice qualcuno – oltre ai fabbricanti e venditori di armi –, ed è ben curioso che a capo della NATO ci fosse proprio l’esponente di un Paese che dalla guerra ha guadagnato più di tutti.
Anche perché c’è un altro aspetto da sottolineare. Quante volte abbiamo sentito Stoltenberg chiedere da tutti i pulpiti più aiuti e investimenti in Ucraina, più armi e più solidarietà internazionale per la popolazione ucraina così duramente provata dalla guerra e dall’invasione russa, invitando tutti i Paesi NATO a fare di più?
Peccato che la Norvegia, che solo in campo energetico ha guadagnato dalla guerra ben più di 100 miliardi “netti”, ne abbia poi destinati in aiuti all’Ucraina – e questo dato è del Kiel Institute for International Economics – solo 3,5 miliardi, davvero miseri spiccioli rispetto ai lauti profitti.
In ogni Paese essere il ministro delle Finanze – chiedete a Giorgetti – è un mestiere infame, stretti tra spese obbligatorie e pregresse, limiti europei, indici di indebitamento da rispettare… Beato Stoltenberg che di problemi ne ha invece molto meno, visto che, numeri alla mano, ogni norvegese ha guadagnato dalla guerra in Ucraina oltre 20mila dollari a testa. Insomma, la guerra è un ottimo investimento finché dura, quindi facciamolo durare!
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