Riforma immigrazione Starmer: sanità e università a rischio in UK tra tagli e carenze. Critiche alla retorica e rischi di crisi settoriali
Il governo guidato da Sir Keir Starmer ha intrapreso una profonda riforma del sistema di immigrazione post-Brexit con l’intento di ridurre di almeno 100.000 unità l’anno il numero di ingressi nel Regno Unito e di favorire un afflusso maggiormente selettivo, centrato su lavoratori altamente qualificati: il piano – che ha già superato oltre due terzi del percorso legislativo – prevede la concessione di visti solo per laureati, la limitazione degli accessi per i profili meno specializzati e un’estensione a 10 anni del percorso necessario per ottenere la residenza permanente, salvo che il migrante non dimostri di aver dato un contributo eccezionale alla società.
Inoltre, Starmer ha ribadito con fermezza che chi intende vivere nel Regno Unito dovrebbe essere in grado di parlare inglese, definendo la conoscenza della lingua una questione fondamentale di buon senso e in virtù di questa convinzione, ha annunciato l’intenzione di rafforzare i requisiti linguistici per l’immigrazione, puntando a rendere più stringenti le condizioni per chi desidera entrare nel Paese.
Secondo Madeleine Sumption – direttrice del Migration Observatory di Oxford – la riforma annulla molte delle aperture introdotte dopo la Brexit, tornando a una politica migratoria fortemente restrittiva mentre l’avvocato Nick Rollason – esperto in diritto dell’immigrazione – ha calcolato che sponsorizzare un lavoratore qualificato con famiglia potrà costare fino a 67.000 sterline, un onere che peserà in particolare sui comparti della sanità e dell’istruzione.
Il Ministero dell’Interno difende la riforma volendo rimarcare come l’obiettivo sia quello di ottimizzare la produttività nazionale e ridurre la dipendenza da soluzioni temporanee basate sulla immigrazione, ma molti economisti restano scettici: secondo le analisi, l’effetto sul PIL pro capite sarà limitato e i benefici fiscali legati principalmente all’incremento della tassazione sui migranti.
Riforma immigrazione: sanità e università i settori più colpiti in UK tra costi e carenze
In seguito alla riforma immigrazione, il comparto dell’assistenza socio-sanitaria (già sotto pressione per la carenza di personale) subirà un impatto immediato: la soppressione dei visti per operatori non specializzati e l’assenza, per almeno tre anni, di misure strutturali di sostegno economico rischiano di generare uno stallo operativo e Josh Hawker – amministratore di una rete di residenze sanitarie a Bristol – definisce la nuova impostazione normativa come fortemente penalizzante per le strutture assistenziali, soprattutto a causa delle limitazioni nei ricongiungimenti familiari e dell’intensificazione dei controlli sugli enti che assumono dall’estero.
A queste difficoltà si aggiungono i recenti aumenti del salario minimo e dei contributi previdenziali: Jonathan Portes – docente al King’s College di Londra – ritiene che migliorare le condizioni lavorative nel sociale sia un obiettivo valido ma comporterà inevitabili costi che ricadranno sui contribuenti o direttamente sui fruitori dei servizi.
Le università, invece, respirano parzialmente grazie a una modifica meno severa del previsto sul visto post-laurea: gli studenti stranieri potranno rimanere a lavorare nel Regno Unito per 18 mesi dopo il conseguimento del titolo ma l’introduzione di una nuova imposta pari al 6% sulle loro rette universitarie preoccupa il settore e – proprio su questo – Nick Hillman – direttore dell’Higher Education Policy Institute – mette in luce come questa tassa rappresenti un duro colpo a un comparto che ha funzionato con successo sul piano internazionale, temendo che possa ridurre l’appeal del Regno Unito come destinazione di studio per studenti di alto livello.
Critiche politiche e rischi alla riforma immigrazione: il nodo Farage e la retorica laburista
Al di là degli effetti economici, la riforma solleva aspre critiche anche sul piano politico e comunicativo: Starmer nel presentare la nuova linea, ha parlato dell’immigrazione come di un fattore problematico per il Paese, paventando la trasformazione del Regno Unito in una “nazione di stranieri”, una narrazione che Robert Ford – politologo all’Università di Manchester – giudica estremamente controproducente poiché rischia di riprodurre i toni e le posizioni del populismo anti-migranti sostenuto da Nigel Farage.
Anche tra i banchi del partito laburista si levano voci critiche: alcuni deputati temono che la linea dura finisca per avallare – anziché contrastare – la visione restrittiva di Reform UK e il partito rischierebbe così di risultare una copia moderata e poco convincente delle forze politiche più radicali, finendo per perdere il sostegno dell’elettorato progressista.
Intanto, Brian Bel – presidente del Migration Advisory Committe – riconosce che una maggiore selettività potrebbe migliorare le finanze pubbliche grazie all’ingresso di lavoratori meglio retribuiti, ma avverte che senza un piano serio per formare la manodopera interna, la riforma rischia di lasciare scoperte aree strategiche come la logistica e l’agricoltura; il Tesoro, nel frattempo, è al lavoro per valutare gli effetti a breve termine di questa transizione sulla crescita economica complessiva mentre il punto centrale della questione resta quello di conciliare le esigenze di controllo migratorio con quelle, non meno urgenti, della sostenibilità sociale ed economica.