Si è chiusa la lunghissima vicenda processuale che, dal 2017 a questa parte, ha coinvolto Stellantis – all’epoca ancora sotto il nome di Sevel-FCA – e un ex dipendente assistito dai legali della sigla sindacale USB, al quale fu negato il permesso di recarsi in bagno durante l’orario lavorativo: il caso ha attraversato tutti i gradi di giudizio e, alla fine, è arrivato il parere definitivo della Corte di Cassazione, che per la terza volta ha dato ragione al dipendente, denotando l’atteggiamento da parte di Stellantis come del tutto lesivo della dignità del lavoratore; mentre, al contempo, resta chiuso il processo parallelo intentato dalla casa automobilistica con l’ipotesi di diffamazione aggravata.
Partendo dal principio, ricordiamo che tutto accadde, appunto, nel 2017, quando il lavoratore – al quale è stato ovviamente concesso l’anonimato da parte della Cassazione stessa – chiese il permesso di recarsi in bagno durante l’orario lavorativo, ottenendo dal suo superiore di Stellantis un fermo diniego: il dipendente fu, dunque, costretto a urinarsi addosso, non riuscendo più a trattenere lo stimolo, e anche a quel punto il superiore gli negò il permesso ad assentarsi un attimo per cambiarsi i pantaloni e darsi una ripulita.
La Cassazione condanna Stellantis: “Ha leso la dignità del lavoratore costringendolo a urinarsi addosso”
Il caso del dipendente di Stellantis divenne presto nazionale, con il sindacato USB che proclamò uno sciopero immediato e mise a disposizione gratuitamente i suoi legali per il lavoratore: già in primo grado era arrivata una condanna piena per il gruppo automobilistico, poi confermata anche in secondo grado e giunta – alla fine – sui banchi della Cassazione; mentre oggi, per la terza volta, a uscire come “colpevole” è stata proprio Stellantis, che secondo i giudici avrebbe leso “la dignità personale” del lavoratore, violando l’articolo 2087 del Codice civile.
Contestualmente ai primi racconti a mezzo stampa da parte del lavoratore in questione e dell’allora coordinatore di USB, Fabio Cocco, Stellantis denunciò entrambi, accusandoli di diffamazione aggravata: il caso si chiuse piuttosto rapidamente, con il GIP di Lanciano che confermò immediatamente l’archiviazione per entrambi; mentre oggi – dopo la pronuncia da parte della Cassazione – il sindacato ha espresso la sua “soddisfazione” per la sentenza, sperando che scoraggi qualsiasi datore di lavoro ad adottare comportamenti simili.