Steve Bannon torna al centro del dibattito mediatico italiano: questa sera, martedì 17 giugno 2025, alle 21.20 su Rai 3, sarà uno dei protagonisti del nuovo speciale di Petrolio, il programma di inchiesta condotto da Duilio Giammaria e la puntata, intitolata “House of Trump”, sarà un’esplorazione nella parte più radicale dell’America trumpiana, dove populismo, tecnologia e autoritarismo si fondono in un mix esplosivo e proprio Bannon, da sempre considerato uno degli architetti del movimento MAGA, ne è una delle figure più controverse.
Nato nel 1953 in Virginia, Steve Bannon ha attraversato più vite professionali di quante se ne possano immaginare: militare, banchiere d’investimento, produttore cinematografico e infine fondatore e guida di una delle piattaforme mediatiche più polarizzanti della destra americana, Breitbart News, in un percorso che lo ha portato dritto alla Casa Bianca nel 2017 come capo stratega di Donald Trump, e anche se la sua esperienza al fianco del presidente durò meno di un anno, la sua impronta ideologica si è fatta sentire forte – tra slogan nazionalisti, battaglie contro le élite e una visione identitaria della politica – che ha trovato spazio nel cuore del movimento trumpista.
I corsi di Steve Bannon si sono sempre mossi su terreni difficili: ha difeso l’idea di un’America guidata da un’élite “popolare” contrapposta a quella classica politico-finanziaria, ha promosso battaglie culturali a colpi di podcast e documentari, ha fornito una casa comunicativa al cosiddetto “alt-right” e ha sempre mantenuto un atteggiamento di sfida verso l’establishment repubblicano.
Il suo legame con Trump è sopravvissuto anche alle fratture pubbliche, e in più occasioni è stato identificato come l’uomo che ha ispirato alcune delle scelte più divisive della presidenza, dal Muslim Ban all’uscita dall’Accordo di Parigi.

Steve Bannon: dal potere in Casa Bianca al carcere nel 2024, la parabola di un ideologo senza compromessi
Steve Bannon non è mai stato un personaggio che ha cercato la mediazione e proprio in virtù di ciò, la sua uscita dalla Casa Bianca, avvenuta tra le polemiche nel 2017, non ha interrotto la sua influenza ma, al contrario, l’ha proiettato in una nuova fase fatta di attivismo mediatico, campagne contro i repubblicani moderati, sostegno aperto a candidati ultraconservatori e pressioni sul Congresso per rovesciare l’esito delle elezioni del 2020.
È stato indicato come uno degli organizzatori politici del clima che ha preceduto l’assalto al Campidoglio il 6 gennaio 2021 e le sue parole pronunciate in un podcast il giorno prima – “L’inferno si libererà domani” – sono finite sotto i riflettori dell’inchiesta parlamentare.
Negatosi a collaborare con la commissione d’inchiesta, è stato poi condannato per oltraggio al Congresso e, dopo aver perso i ricorsi, nel luglio 2024 ha iniziato a scontare una pena di quattro mesi in un carcere federale: una parabola controversa, quella di Bannon, ma tutt’altro che conclusa, perché anche fuori dalle stanze del potere ha mantenuto un ruolo attivo nel plasmare il discorso della destra americana, mantenendo legami con figure centrali del movimento MAGA, rilanciando le sue idee in radio e online, restando per molti un punto di riferimento ideologico.
La storia di Steve Bannon che attraversa la marina militare, Harvard, Hollywood, Wall Street e la politica più dura, è anche il ritratto di una trasformazione americana: una nazione che in parte si riconosce nel suo linguaggio diretto, nella sua sfiducia verso le istituzioni, nella sua idea di conflitto culturale permanente. Non è dunque un caso che Petrolio abbia scelto proprio lui per aprire una riflessione su cosa sia diventata oggi l’America di Trump.