Con le sue luci e le sue ombre, la Resistenza fu portatrice di una carica innovatrice tesa a gettare le basi di una società più libera e giusta. E (E. Gorrieri)
Nella nuova prefazione al suo libro del 2015 Possa il mio sangue servire. Uomini e donne della Resistenza, che Rizzoli ha ripubblicato per l’ottantesimo anniversario del 25 aprile, Aldo Cazzullo afferma: “In questi trent’anni in Italia si è combattuta una guerra della memoria. E questa guerra noi antifascisti l’abbiamo perduta. Nettamente e clamorosamente (…) perché solo in Italia – e questo è un altro segno della nostra sconfitta – è passata l’idea per cui se sei antifascista sei comunista, o comunque di sinistra. Non è così. (…) La scelta tra il nazifascismo e i suoi oppositori non è la scelta tra la destra e la sinistra. È la scelta tra la barbarie e la civiltà. Eppure questa conclusione, considerata in tutto il mondo un’ovvietà, in Italia è contestata”.
Certamente Cazzullo ha ragione sul fatto che ogni memoria è selettiva e spesso funzionale alla logica di un processo di costruzione identitaria di gruppi politico-sociale, per cui è illusorio pensare che si possa arrivare ad una memoria comune tra chi ha aderito alla Resistenza e chi ha aderito alla RSI.
Sembra però giunto il momento di superare questa guerra delle memorie sul significato e il valore della Resistenza e della Liberazione.
Ci aiuta la consapevolezza che è culturalmente decisivo acquisire oggi per ogni italiano una “memoria intera”, inclusiva di tutti gli aspetti dell’esperienza storica della Resistenza, per costruire una memoria decantata di quel periodo (come auspicava il presidente Ciampi già nel 2003).
Papa Francesco, quando era ancora al Gemelli, aveva invitato a “disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra”.
È con questo spirito che è stato costruito il nuovo numero di LineaTempo, appena pubblicato online e dedicato a Il colore della Liberazione.
Oggi infatti abbiamo gli strumenti culturali per fare una lettura “liberatrice” delle polarizzazioni ideologiche su quel periodo: dalla caduta del Muro di Berlino la storiografia sulla Resistenza italiana e sulla Liberazione ha conosciuto una nuova fase, che ha permesso di andare al di là delle ricostruzioni ad uso politico o mitizzanti del periodo, come quella che identificava i veri resistenti con i partigiani che avevano come obiettivo la preparazione di una rivoluzione sociale sul modello sovietico.
Nell’ultimo trentennio sono state così studiate più accuratamente le tante e diverse forme di resistenza (oltre alla resistenza armata) ed i diversi obiettivi che aveva il variegato mondo resistenziale.
Così è ormai pacificamente accettato dalla storiografia, sulla scia dell’innovativo libro di Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza (Bollati Boringhieri, 1991), che ci sono stati almeno tre modi di intendere la Resistenza: 1. come lotta contro i tedeschi invasori (da parte di tutti i resistenti); 2. come guerra civile tra fascisti e antifascisti; 3. come l’inizio (da parte comunista) di una rivoluzione sociale e politica globale.
Il riconoscimento che la Resistenza è stata una guerra civile tra fascisti e antifascisti non significa d’altra parte mettere sullo stesso piano le due scelte, perché i partigiani combattevano per la libertà, mentre l’ideale degli ultimi sostenitori del fascismo era avverso proprio a quel tipo di libertà.
Decisivo è piuttosto il riconoscimento che solo una parte dei resistenti (l’ala comunista) la considerava come il prologo della definitiva rivoluzione sociale e politica globale, perché questo permette di ricomprendere, sine ira ac studio, tutti quegli elementi di conflittualità interna allo stesso movimento partigiano (che hanno avuto anche esiti dolorosi e drammatici fino al dopoguerra), senza dover sminuire il fondamento valoriale unitario di tutte le forme di Resistenza, da quelle più legate all’istanza di rottura dell’ordine sociale a quelle ispirate all’ideale di un secondo Risorgimento, da quelle indirizzate all’ideale di costruzione di un nuovo tipo di democrazia, a quelle ispirate dalla riscoperta dell’umanesimo religioso quale caratteristica fondamentale dell’identità italiana.
Il lavoro di ricerca storica su questi temi, che viene documentato nel dossier con sintetici approfondimenti, permette infatti di mostrare l’ampia gamma delle forme di Resistenza, evidenziando come accanto alla Resistenza armata si siano sviluppate forme di resistenza non in armi, ma portatrici di un grande rilievo politico, come testimonia la resistenza morale degli IMI e l’impegno della Resistenza della carità, ovvero l’amplissima azione di sostegno dei civili non solo alle bande partigiane, ma soprattutto ai renitenti alla leva, ai perseguitati antifascisti e agli ebrei, tutti ambiti in cui il movimento cattolico ha avuto un ruolo fondamentale.
In definitiva oggi possiamo tutti riconoscere che la Resistenza fu un fenomeno plurale, nelle sue forme e nei suoi obiettivi, unificato però da una grande scelta morale.
Per comprendere il senso di questa scelta morale occorre considerare che quando l’8 settembre 1943 il Regno d’Italia rese esplicito il suo definitivo ripudio del fascismo e uscì dall’alleanza con la Germania hitleriana, lasciò di fatto ogni italiano a dover decidere, solo di fronte alla propria coscienza, il senso e il valore delle proprie scelte etico-politiche e di orientamento ideale.
Le istituzioni politiche e militari del Paese mostrarono in quel momento tutta le loro debolezza lasciando il popolo italiano a decidere il proprio futuro in base alla propria coscienza e alla propria tradizione umanistico-religio
E molti, non solo le poche centinaia che in quei primi mesi presero la via dei monti (e furono all’inizio soprattutto i militari), fecero una scelta di coscienza che si faceva carico della difesa della dignità dell’uomo e del bene comune della nazione, ben sintetizzata dalla definizione che ne ha data uno dei più autorevoli partigiani cattolici, don Giovanni Barbareschi: “La Resistenza è stata anzitutto una ribellione morale, la scelta consapevole dell’umano contro il disumano” (Chiamati a libertà).
Certamente non tutte le scelte per l’umano fatte in quel periodo sono state motivate dall’ideale evangelico, ma è lo stesso don Barbareschi a ricordarci che “il primo atto di fede, e ve lo dice un prete, che l’essere umano deve fare non è in Dio! Il primo atto di fede che l’uomo deve fare è nella sua libertà, cioè nella sua capacità di diventare una persona libera di agire da essere libero, altrimenti è un burattino, qualunque cosa dica o faccia. … Si pensa che la perfezione dell’uomo è volere. Non è vero. Perfezione dell’uomo è credere. Io credo in te, nel tuo valore, nella tua persona”.
Credere nella capacità di perseguire liberamente la ricerca della felicità e del senso della vita conduce inesorabilmente alla riscoperta del valore fondativo del rapporto con l’altro, al riconoscimento che l’uomo non è un semplice ingranaggio di uno Stato (quale ne sia la forma), ma nasce, cresce e fiorisce in un contesto di rapporti di natura affettiva, sociale e politica, e quindi alla scoperta che la libertà è anche impegno attivo a promuovere la crescita e la fioritura della libertà altrui, esige rispetto dell’altro, capacità di dialogo e collaborazione con il diverso per il bene comune e questo è il cuore della democrazia.
Affermazione della dignità dell’uomo, amore per la libertà e per la democrazia sono i valori unificanti della scelta resistenziale.
Questo carattere originario ed originale della Resistenza è la radice unitaria della pluralità dei colori della Resistenza.
Da una parte occorre mettere in rilievo il ruolo fondamentale dei militari nella Resistenza in armi e l’importante apporto del partigianato cattolico.
Dall’altra occorre riconoscere che grande fu il ruolo svolto dal movimento comunista nella Resistenza: la demitizzazione attuale non deve far dimenticare i meriti acquisiti nella lotta per la libertà dai tanti militanti che in nome del bene comune dell’Italia hanno saputo accettare quel decisivo mutamento nell’ideologia del partito, che portò prima il suo leader e poi tutta la dirigenza ad anteporre la lotta nazionale alla rivoluzione socialista. È da sottolineare poi che il suo leader, nonostante le ambiguità, rimarrà fedele alla nuova vocazione patriottica assunta dal PCI, inserendosi coscientemente nella vita della nazione e dando un contributo decisivo all’edificazione della democrazia italiana.
La Resistenza è stata un fenomeno complesso, ma decisivo per il nascere della democrazia in Italia e perciò bisogna tenere conto di tutti i fattori in campo nella ricostruzione del nostro passato prossimo nazionale, convinti che un Paese che non è in grado di rielaborare criticamente il suo passato è un paese in crisi di identità e quindi esposto a gravi rischi di decadimento, umano ed ideale prima ancora che politico.
Decisivo sul piano storico è poi il prendere consapevolezza del valore politico (ed in alcuni casi anche militare) che l’impegno attivo dei partigiani in armi ha avuto nei confronti degli Alleati vincitori, permettendo all’Italia di sfuggire al tragico destino della Germania, smembrata e divisa in zone di occupazione.
“Se dopo la fine della guerra l’Italia ha potuto riprendere il suo ruolo nella comunità delle nazioni in tempi relativamente brevi, lo deve anche al sacrificio di tanti uomini e donne che hanno dato la vita per affermare il principio della libertà, tragicamente dimenticato durante il ventennio fascista. Recuperare la loro memoria, ricordare il sacrificio delle loro vite, tenere presente il contributo che hanno dato formazione della nostra Costituzione, democratica e antifascista, ci può permettere di guardare al futuro con fiducia” (A. Canavero).
È questo l’antifascismo che va celebrato, conservato e fatto vivere.
Oggi, anche grazie a storie di memorie che conducono alla riconciliazione (come emerge dalla storia successiva al martirio del giovane seminarista Rolando Rivi), è il momento di compiere un percorso di superamento di ogni contrapposizione ideologica, perché tutti i resistenti parteciparono a quel moto di rinnovamento morale che è la radice della Resistenza, e che è ben esemplificato dal comunicato di costituzione dei “Gruppi Combattenti” del 10 ottobre 1943:
“Si offre oggi agli Italiani la possibilità di ripetere, per l’onor loro e dell’Italia, le gesta che fecero un sacro Risorgimento … I Gruppi Combattenti dovranno essere l’avanguardia di un più vasto e valido esercito del popolo. Esercito che collaborerà con coraggio, non solo alla liberazione italiana, ma anche alla liberazione dell’Europa. Sì che l’Italia, per il valore del sacrificio dei suoi figli, riconquisterà pieno diritto di fraterna parità fra le nazioni che affrontano l’immane fatica di riconquistare, organizzare e difendere un mondo di libertà, di giustizia e di pace”.
Occorre avere chiara consapevolezza che, senza l’intelligenza della verità e la misericordia nei rapporti, anche il bene può diventare male. Il bene non è semplicemente perseguire un ideale, ma la capacità di vincere il male, prima di tutto in noi stessi e condividere il bene.
L’eredità della Resistenza è nell’affermazione del valore e della dignità di ogni persona, che rende capaci di accogliere anche chi inizialmente l’ha rifiutata.
La Liberazione è patrimonio di tutta la nazione, non di una fazione.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.