In questi mesi di svolta epocale degli assetti globali in cui le antiche certezze vengono meno, in cui gli assetti atlantici sembrano andare in crisi, risultano di grande interesse due volumi contenenti il carteggio Andreotti-Cossiga tra il 1985 e il 1991, mentre il primo era ministro degli Esteri e poi presidente del Consiglio e il secondo presidente della Repubblica (La crisi della Repubblica nel carteggio Andreotti-Cossiga, Edizioni di Storia e Letteratura, 2025).
Il primo libro è stato di recente presentato al pubblico in un convegno nella Sala della Lupa alla Camera dei deputati, dove sono intervenuti Serena Andreotti, figlia dello statista e moderatrice, il vicepresidente Giorgio Mulè, Luigi Zanda, segretario di Cossiga e già senatore, Nicola Antonetti, presidente dell’Istituto Luigi Sturzo, Luigi Guidobono Cavalchini Garofoli, ambasciatore e Luca Micheletta, curatore dei volumi. Grazie a questi studi Cossiga non lo scriveremo più con la K e Andreotti non sarà più l’uomo della mafia.
Una lunga vicenda personale
I due esponenti democristiani si conoscono da tempo e la prima occasione pubblica registrata dalle cronache avviene quando Andreotti, nel 1950, allora già affermato sottosegretario alla presidenza del Consiglio di Alcide De Gasperi, si reca a Sassari ad inaugurare il pensionato della Fuci (gli universitari cattolici), ricevuto dal ventunenne Cossiga, neolaureato in giurisprudenza ai primi passi della carriera accademica.
Compagni di partito e spesso colleghi di governo a partire dagli anni 70, ma soprattutto uniti nella gestione dell’affaire Moro nel 1978, l’uno come ministro degli Interni e l’altro come presidente del Consiglio (IV gabinetto). Quei fatti ancora non hanno trovato la loro giusta valutazione storica e, come afferma il curatore Micheletta, “La vicenda del rapimento e dell’assassinio di Moro, che Andreotti e Cossiga vivono come un dramma personale prima che istituzionale, lascia tracce profonde sulla vita di entrambi, ma contribuirà a rinsaldare il loro legame umano e politico, anche a causa della mai spentasi polemica sulla gestione del caso, che li vedrà spesso sul banco degli imputati”.
Entrambi si ispirano a quel cattolicesimo politico che li vedrà impegnati sin da giovani nella Democrazia Cristiana e se Andreotti è figlio del cattolicesimo romano, Cossiga ha i fondamenti, come spiega Micheletta, “nel cattolicesimo liberale e, con approccio tutto intellettuale, ricerca costantemente un equilibrio tra fede e ragione e talvolta indulge alla vena mistica”.
Sono tuttavia molto diversi e nel carteggio sembrano quasi l’uno il contrario dell’altro. Il sardo è “passionale, entusiastico, provocatorio, teatrale”, uomo di vasta cultura, e da presidente della Repubblica “scrive, stimola il dibattito, indugia sugli aspetti formali, interpreta la società e la vita dello Stato e delle sue istituzioni con lo sguardo del giurista”.
Il romano, “apparentemente impassibile”, proviene da ambienti modesti della piccola borghesia dell’urbe, ha dovuto lavorare per mantenersi agli studi, si è formato nella lunga trafila degli incarichi amministrativi, usa moderazione e ironia per affrontare il mare della politica, ma soprattutto “governa uomini e cose e lo fa con un pragmatismo tutto teso a trovare soluzioni e ad aggirare gli ostacoli, talvolta con il compromesso sulle regole formali e la necessaria mediazione tra la concretezza della realtà e i principi della teoria”.
Due politici ai vertici dello Stato
Dunque uno presidente della Repubblica e l’altro capo del governo nel momento in cui finisce la guerra fredda e implode l’Unione Sovietica, nel pieno di quella “rivoluzione”, come la definisce il curatore dei volumi, che nel giro di solo due anni (1989-1991) modifica radicalmente la carta geopolitica dell’Europa.
E il carteggio ovviamente cambia registro, perché lo sguardo si amplia a un continente non più separato dalla cortina di ferro. Sono poi presenti gli aspetti costituzionali e per gli studiosi e i giovani politici diventa utile leggere le lettere per capire come in una democrazia si possa arrivare, nel rispetto dei ruoli, alla “decisione politica”, senza la prevaricazione di un’istituzione sull’altra.
Nella sua prefazione – ripresa in modo approfondito nel saggio introduttivo di Micheletta – Giuliano Amato mette in evidenza alcune questioni costituzionali allora rilevanti che oggi tornano alla ribalta, tra cui la decretazione d’urgenza, per velocizzare il processo legislativo, la guida delle forze armate e i decreti attuativi del Consiglio supremo di difesa, già varato con legge nel 1950.
E soprattutto balzano in evidenza due vicende che ancora oggi sono al centro dell’agenda politica; il conflittuale rapporto tra magistratura e politica che allora si delineò nello scontro tra il capo dello Stato e il Consiglio superiore della magistratura, e poi la grande necessità delle riforme istituzionali, che 35 anni dopo sono ancora nell’agenda del Governo.
Altra questione spinosa presente nel carteggio è l’emergere della pericolosità della mafia siciliana, con la conseguente necessità di combatterla. Da una parte si narra nel 1989 la genesi del noto decreto Vassalli-Andreotti (Vassalli era ministro della Giustizia), che, allungando i termini di carcerazione preventiva, avrebbe permesso a molti mafiosi condannati al maxiprocesso di non uscire dal carcere; e poi, dopo la brutale uccisione del giudice Rosario Livatino (21 settembre 1990), la proposta di Cossiga, condivisa dal capo del governo e dal ministro della Giustizia, di nominare Falcone come direttore generale degli Affari penali del ministero della Giustizia, divenuta operativa solo nel marzo 1991.
I primi segni della crisi
Lo scontro con il Pci di Occhetto sulle vicende Cia-P2 e l’esplodere del Caso Gladio, le indagini del giudice veneziano Casson, che addirittura chiama a testimoniare Cossiga, le connessioni tra il piano Solo e Gladio, messe in prima pagina dal direttore di Repubblica, Scalfari, espongono il presidente Cossiga a un tiro incrociato. L’archivio Andreotti documenta quei momenti travagliati e nelle lettere traspare la forte solidarietà tra i due personaggi politici.
Queste carte oggi portano nuova luce su quella tormentata stagione politica che si è intrecciata a rilevanti vicende internazionali, tra cui la prima guerra del Golfo (1990-1991), scaturita dall’invasione del Kuwait, e la trattativa per il Trattato di Maastricht condotta da Andreotti in qualità di presidente di turno della Comunità Europea.
Risulta attuale il dialogo di allora tra governo e Presidenza della Repubblica sull’uso esterno delle forze armate, perché oltre trent’anni fa come oggi è centrale l’interpretazione dell’articolo 11 della Costituzione che, come è noto, ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e che, come nel 1990, fa ripetere al governo attuale che si può intervenire in Ucraina solo sotto l’egida dell’Onu.
Lentamente viene poi meno la coesione del pentapartito (Dc, Psi, Pdsi, Pri, Pli) che sostiene il governo Andreotti, il quali rassegna le dimissioni a fine marzo 1991.
La speranza di Cossiga, nel gestire la crisi che avrebbe dato vita al VII e ultimo governo Andreotti, era quella di una grande riforma istituzionale, ma, come è noto, accordi, tentativi, referendum e commissioni parlamentari si sarebbero succeduti nei decenni successivi senza esito. L’architettura dello Stato italiano è pressappoco ancora oggi quella di allora, mentre in pochi anni l’assetto politico sarebbe mutato profondamente con la crisi della prima Repubblica e dei partiti che la animavano.
Due volumi dunque molto interessanti, per gli studiosi e per il vaso pubblico, che grazie a personaggi di allora “visti da vicino”, permettono un’attenta ricostruzione storica, doverosa perché ancora segnata a oltre trent’anni di distanza da interpretazioni ideologiche.
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