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Home » Cultura » Storia » STORIA/ Caso Dreyfus, prima di una nuova “riabilitazione” (inutile) rileggiamoci Lazare e Péguy

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STORIA/ Caso Dreyfus, prima di una nuova “riabilitazione” (inutile) rileggiamoci Lazare e Péguy

Giorgio Cavalli
Pubblicato 8 Giugno 2025 - Aggiornato alle ore 13:53
Il manoscritto originale del "J'accuse" di Émile Zola (Ansa)

Il manoscritto originale del "J'accuse" di Émile Zola (Ansa)

Il Parlamento francese ha approvato una proposta di legge per la promozione postuma a generale di Dreyfus. È questo che ci chiedono l'oggi e la storia?

Il Parlamento francese ha approvato una proposta di legge per la promozione postuma a generale di Alfred Dreyfus, il protagonista del celebre affaire di fine Ottocento. Si parla anche di una sua introduzione nel Pantheon, accanto agli uomini più illustri di Francia. L’European Jewish Congress, massimo organo di rappresentanza ebraica, ha commentato: “Questo atto simbolico è un gesto di giustizia storica”.


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Ci si può chiedere che senso abbia voler riavvolgere il nastro della storia e cercare di correggerla ex lege dopo più di un secolo. Tra l’altro non è precisamente una riabilitazione, dal momento che già nel 1906 la Suprema Corte di Cassazione aveva riesaminato la duplice condanna per alto tradimento subita dall’ex capitano di stato maggiore Alfred Dreyfus e il Senato lo aveva reintegrato nell’esercito col grado di maggiore, conferendogli la Legion d’onore. Dreyfus partecipò in seguito alla Grande guerra e concluse la carriera col grado di tenente colonnello.


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La riabilitazione, sia pure tardiva, fu dunque completa. Perché allora promuoverlo a generale post-mortem? Non è possibile infatti, con buona pace dei fautori della cancel culture e dei negazionisti, cambiare ciò che non ci piace della nostra storia: il passato è ormai passato, non lo si può ricreare se non attraverso una ricostruzione narrativa che è compito di chi si occupa di storia. D’altra parte la narrazione storica è data da un presente che con le proprie attese interroga il passato cercandovi nuovi significati. Solo in questo senso possiamo dire che la storia è per sua natura revisionista.


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Quale significato può dunque assumere per l’oggi questa “seconda” riabilitazione? La spiegazione più immediata è nel voler far argine all’antisemitismo che in questi anni ha pesantemente colpito in Francia persone e sinagoghe. Una seconda spiegazione può essere individuata nella presa di distanza francese dall’orribile guerra condotta a Gaza, con la necessità di mettersi al riparo dalle accuse automatiche di antisemitismo che spesso colpiscono ogni critica a Netanyahu.

Ma per comprendere più a fondo il significato che l’affaire Dreyfus riveste per la storia francese occorre fare qualche passo indietro. La Francia di fine Ottocento riemergeva dalle ceneri del Secondo impero e dalla pesante sconfitta di Sedan del 1870 ad opera delle armate germaniche. La Terza Repubblica non nasceva dunque, come le precedenti del 1792 e del 1848, dalle barricate parigine: al contrario, portava la macchia della repressione sanguinosa della Comune (1871) che segnò, secondo Marx, lo svelamento della natura di classe degli ideali repubblicani.

Il caso Dreyfus fece emergere e radicalizzò la doppia natura, liberal-democratica e borghese conservatrice, della Terza Repubblica. In essa convivevano due anime: l’una ispirata a ideali di libertà e di giustizia sociale non sempre realizzata, l’altra intrisa di spirito di revanche nazionalista, astiosa verso chiunque non fosse abbastanza “francese”: ebrei, socialisti pacifisti, ma anche alsaziani e lorenesi le cui regioni erano annesse alla Germania e sospetti per ciò stesso di intesa col nemico.

Quando nel cestino della carta dell’ambasciata tedesca fu rinvenuto un foglio con informazioni militari, il capo dei Servizi non ebbe alcun dubbio: il capitano di stato maggiore Alfred Dreyfus, ebreo e alsaziano, era l’unico colpevole possibile.

La prima sentenza, emessa nel 1894, condannò Dreyfus ai lavori forzati sull’Isola del Diavolo, dove sconterà più di quattro anni di carcere. Nel frattempo era emerso il nome del vero colpevole, certo Esterhazy, ma la cosa fu insabbiata da ministro della Guerra, per difendere l’onore della Corte marziale.

Intanto, il 13 gennaio 1998 L’Aurore pubblicò il celebre J’accuse di Émile Zola. Fu il sasso nello stagno. La Francia si infiammò e si divise. Dreyfusardi furono da subito i repubblicani radicali, una parte dei socialisti e ben pochi cattolici; contro di loro un blocco di liberali conservatori, monarchici, nazionalisti e una larga parte dei cattolici, i “clericali”. La gran parte dei socialisti si chiamò fuori, giudicando che si trattasse di una faccenda tutta interna alla borghesia.

Charles Péguy descriverà quel clima confuso: “L’affaire Dreyfus aveva operato una prima discriminazione tra coloro per i quali la confutazione di un errore mostruoso e la difesa di un innocente perseguitato, sia pure un borghese, sono assoluti, e coloro per i quali la verità e la giustizia sono semplicemente questioni di dettaglio. Il socialista Guesde si è così ritrovato, in nome della lotta di classe, nello stesso schieramento ‘borghese’ in cui si è posto, in nome dell’esercito, il monarchico Maurras”.

La “Libreria socialista” di Péguy, nel Quartiere latino, divenne il punto di riferimento dei dreyfusardi. Péguy era venuto a conoscenza dell’affaire ben più di un anno prima della presa di posizione di Zola grazie a Bernard Lazare. Questo attivista ebreo anarchico aveva pubblicato nel 1896 un opuscolo che per primo denunciò l’errore giudiziario che provocò l’affaire Dreyfus.

Nel 1898 un nuovo processo confermò la condanna, limitandosi a ridurre la pena dall’ergastolo a dieci anni. Dreyfus, debilitato, chiese e ottenne la grazia, rinunciando così a pretendere un’assoluzione piena. Quando infine nel 1906 Dreyfus fu pienamente riabilitato, Lazare e Zola non erano più su questo mondo, ma avrebbero avuto ben poco da gioire: l’antisemitismo, il nazionalismo, l’intolleranza continuarono ad avvelenare l’Europa.

È emblematico che nello stesso anno in cui Lazare denunciava l’antisemitismo, il suo amico Theodor Herzl dava alle stampe Lo stato ebraico, il testo fondativo del movimento sionista. Lazare, impegnato sulla questione ebraica, non risparmiò all’amico la sua critica al sionismo nascente: “Voi siete borghesi di pensiero, di sentimento, d’idee, borghesi di concezione sociale”.

Dopo l’orrore della Shoah, la nascita dello Stato di Israele e quattro guerre arabo-israeliane, il monito di Lazare a non chiudere il sogno di Israele in una fortezza chiusa resta vivo oggi. Analoga critica fece del governo Combes, espressione di un dreyfusismo ormai eretto a sistema di potere: “I clericali ci hanno dato fastidio per anni, ma non siamo noi ora che dobbiamo dar fastidio ai cattolici”. E Péguy a fargli eco: Lazare sa, scrisse, che “una coscienza è non solo al di sopra di ogni giurisdizione, ma è essa stessa […] la suprema, l’unica giurisdizione”.

L’ebreo Lazare e il socialista Péguy avevano sotto gli occhi la repressione anticattolica di un governo che, svuotato il fronte dreyfusardo del suo afflato spirituale, ne faceva uso come blocco ideologico illiberale e capace di far ricorso alla delazione.

Se il richiamo alle radici ideali della République vuole assumere un significato per l’oggi, non sia dimenticato il monito di questi due profeti moderni: non si trasformi la doverosa memoria del male patito in copertura ideologica per nuove oppressioni.

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