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Home » Cultura » Storia » STORIA/ Da Leone XIII a Giovanni XXIII, questione sociale e ordine morale: la risposta della Chiesa

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STORIA/ Da Leone XIII a Giovanni XXIII, questione sociale e ordine morale: la risposta della Chiesa

Nicola Ruisi
Pubblicato 12 Maggio 2025
Papa Leone XIV affacciato a Piazza San Pietro per il primo Regina Coeli del pontificato, 11 maggio 2025 (Ansa)

Papa Leone XIV affacciato a Piazza San Pietro per il primo Regina Coeli del pontificato, 11 maggio 2025 (Ansa)

Il 15 maggio 1891 papa Leone XIII pubblicava l’enciclica che avrebbe dato una svolta alla vita della Chiesa. I suoi successori raccolsero la sfida (1)

Parlando ai cardinali, papa Leone XIV ha spiegato di avere scelto questo nome “principalmente perché il papa Leone XIII, con la storica Enciclica Rerum Novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale”. Ha poi aggiunto che “oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”.


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La pubblicazione della Rerum Novarum risale al 15 maggio 1891. Può essere utile riprenderne il significato, anche ripercorrendo in maniera sintetica il cammino della Chiesa cattolica, la quale ha sempre avuto a cuore il vero progresso umano.

L’industrializzazione, la nuova economia di mercato e l’incremento demografico che caratterizzarono il XIX secolo, portarono alla nascita di due classi sociali ben distinte: i capitalisti e i proletari. Erano destinate a essere antagoniste? La pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista (1848) diffuse il concetto dell’inevitabilità della lotta.


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Marx era convinto che le disuguaglianze sarebbero state risolte dalla “rivoluzione operaia”: il “rovesciamento violento della borghesia” avrebbe portato alla “scomparsa dell’antagonismo di classe”, permettendo “l’elevarsi del proletariato a classe dominante”.

Forse i cattolici, tranne qualche eccezione, presero coscienza della “questione sociale” con un certo ritardo. Pio IX (1846-1878) denunciò chiaramente la diffusione delle nuove ideologie e dell’ateismo, anche intraprendendo la riforma dello Stato pontificio e difendendolo da chi si opponeva al potere temporale dei papi, ma la Chiesa faticava a comprendere pienamente il problema e, soprattutto, a proporre una visione illuminata dalla Rivelazione.


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Lo ha scritto lo storico Joseph Lortz: “La vita in quasi ogni suo aspetto andava secolarizzandosi in misura minacciosa. La fede, il senso cristiano e della Chiesa diventavano sempre più caratteristiche di una minoranza, anzi venivano ritenuti sempre più come sorpassate.

L’opinione pubblica era intrisa di incredulità. Le possibilità pastorali della Chiesa, alla fine del XIX secolo, erano molto limitate” (Storia della Chiesa, II, 458). Molti cattolici, pur rendendosi conto delle condizioni in cui versava il proletariato, condividevano i sentimenti della borghesia sull’ineluttabilità delle leggi economiche e sulla fatalità della miseria.

Non mancavano tuttavia i segnali positivi: “Da una parte, troviamo l’esortazione alla rassegnazione, alla pazienza, all’accettazione della povertà, al riconoscimento del suo valore religioso, accompagnata da una azione limitata strettamente al piano caritativo […] Dall’altra, c’è una lenta maturazione, che porta dalla concezione caritativo-assistenziale ad un’azione fortemente impregnata di paternalismo, poi, gradualmente e non senza difficoltà, al riconoscimento dei diritti dell’operaio, all’accettazione della difesa collettiva di quei diritti” (Giacomo Martina, Storia della Chiesa, IV, 38-39).

Fu proprio papa Leone XIII (1878-1903) a porre un punto fermo di straordinario valore, con la pubblicazione della Rerum Novarum, prima enciclica sociale della storia della Chiesa. Nulla a che vedere con l’ideologia marxista. Il Papa auspicava il ristabilirsi dell’ordine sociale per mezzo della carità, “regina di tutte le virtù”, sapendo che “togliere dal mondo le disparità sociali è cosa impossibile” (RN 14).

A suo modo di vedere, la questione sociale poteva essere risolta solamente con il contributo di tutte le forze sociali unite dalla carità cristiana: i capitalisti e i proletari, lo Stato, le corporazioni delle arti e dei mestieri, le società di mutuo soccorso, i patronati… Ecco un principio realmente rivoluzionario, nuovo come il Vangelo: solo l’unità nella carità può opporsi alle ingiustizie, aprendo nuovi orizzonti di fratellanza e collaborazione feconda.

Quarant’anni più tardi, nell’anniversario dell’enciclica leonina, papa Pio XI (1922-1939) promulgò la Quadragesimo Anno (1931). Questo testo conferma l’analisi di Leone XIII, notando con amarezza come la società del tempo fosse ormai quasi dovunque divisa tra “pochi straricchi e innumerevoli indigenti” (QA 60). L’enciclica riconosce alcune profonde mutazioni sociali: da un lato si assiste alla “concentrazione della ricchezza” e all’“accumularsi del potere economico in mano di pochi”, dall’altro si osserva la trasformazione del socialismo in comunismo.

Quest’ultimo “insegna e persegue due punti: una lotta di classe la più accanita e l’abolizione della proprietà privata, [oltretutto dichiarandosi nemico] della santa Chiesa, e di Dio stesso” (QA 112). Pio XI era convinto che fosse necessario elevare il proletario (cfr. QA 63), ma riteneva che tale scopo fosse raggiungibile in un solo modo: “quelli che si occupano di cose economiche” e “gli operai” dovevano ritornare alla dottrina evangelica dalla quale si erano allontanati (cfr. QA 135).

Il suo testo contiene un invito appassionato: “Si uniscano dunque tutti gli uomini di buona volontà, quanti sotto la guida dei Pastori della Chiesa amano combattere questa buona e pacifica battaglia di Cristo; e tutti, sotto la guida e il magistero della Chiesa, secondo il genio, le forze, la condizione di ciascuno, cerchino di contribuire in qualche misura a quella cristiana restaurazione della società, che Leone XIII auspicò con l’immortale enciclica Rerum Novarum” (QA 149).

Nel corso della Seconda guerra mondiale, nonostante le circostanze difficili, papa Pio XII (1939-1958) volle suggerire “ulteriori principi direttivi morali sopra tre fondamentali valori della vita sociale ed economica … l’uso dei beni materiali, il lavoro, la famiglia”.

Va ricordato un suo importante intervento: “Diletti figli, vi tornerà agevole scorgere che la ricchezza economica di un popolo non consiste propriamente nell’abbondanza dei beni, misurata secondo un computo puro e pretto materiale del loro valore, bensì in ciò che tale abbondanza rappresenti e porga realmente ed efficacemente la base materiale bastevole al debito sviluppo personale dei suoi membri … Non si spenga in mezzo a voi o si faccia fioca la voce insistente dei due pontefici delle encicliche sociali” (Radiomessaggio, 1941).

Com’è facile comprendere, la società uscì dalla guerra profondamente trasformata. Ormai la “questione sociale” non riguardava soltanto i temi della proprietà privata e del salario degli operai, poiché erano entrati in gioco molti altri fattori, scientifici, tecnici, economici, sociali, politici. Se Leone XIII si era trovato davanti a “radicali trasformazioni” (MM 7), Giovanni XXIII (1958-1963) vide sorgere un assetto geopolitico tutto nuovo.

La sua enciclica Mater et Magistra (1961) rispondeva alla necessità “di mantener viva la fiaccola accesa dai nostri grandi predecessori, e di esortare tutti a trarre da essa impulso ed orientamento per la soluzione della questione sociale in forma più adeguata ai nostri tempi” (MM 38).

In Italia, il miracolo economico trasformò un Paese prevalentemente agricolo in una potenza industriale, provocando un “esodo delle popolazioni agricolo-rurali verso agglomerati o centri urbani … creando complessi problemi umani di difficile soluzione” (MM 111). Questa nuova situazione, insieme a tanti altri mutamenti che si susseguivano vorticosi, spinse il Papa a ribadire “il dovere, sempre proclamato dalla Chiesa, di aiutare chi si dibatte nell’indigenza e nella miseria” (MM 146).

L’educazione alla vita sociale era al centro delle sue preoccupazioni: “È della più alta importanza che le nuove generazioni vengano educate con adeguata formazione culturale, nonché religiosa, come è dovere e diritto dei genitori, a un profondo senso di responsabilità in tutte le manifestazioni della loro vita” (MM 182).

Di fronte alla globalizzazione dei problemi sociali, il papa invoca “la reciproca fiducia tra gli uomini e gli Stati” e sottolinea che essa può nascere e rafforzarsi solo “nel riconoscimento e nel rispetto dell’ordine morale”. Poi aggiunge una notazione di estrema importanza: “Sennonché l’ordine morale non si regge che in Dio: scisso da Dio si disintegra” (MM 193).

“La Chiesa oggi si trova di fronte al compito immane di portare un accento umano e cristiano alla civiltà moderna”, dice ancora Giovanni XXIII (MM 233). Egli invita a guadagnare uno sguardo nuovo, che resti ancorato al Vangelo e pure tenga conto del mutare dei tempi: “Benché dunque la santa Chiesa abbia innanzi tutto il compito di santificare le anime e di renderle partecipi dei beni di ordine soprannaturale, essa è tuttavia sollecita delle esigenze del vivere quotidiano degli uomini, non solo quanto al sostentamento e alle condizioni di vita, ma anche quanto alla prosperità e alla civiltà nei suoi molteplici aspetti e secondo le varie epoche” (MM 2).

“La dottrina sociale cristiana è parte integrante della concezione cristiana della vita”, si legge ancora nell’enciclica (MM 206). Dunque, i cristiani, se vogliono partecipare al vero progresso dell’umanità, non possono ignorare le condizioni di vita in cui versano gli uomini e le donne del mondo.

(1 – continua)

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