Josef Toufar (1902-1950), sacerdote cattolico nell’allora Cecoslovacchia comunista, ebbe la vita cambiata (e non solo lui) da uno strano miracolo (1)
Nello svolgere le ricerche per l’articolo scritto tempo fa sul cimitero di Ďáblice mi sono imbattuto in un nome che non mi era nuovo, ma che non riuscivo inizialmente a collocare con precisione. Si tratta di Josef Toufar, parroco del piccolo villaggio di Číhošť, che si trova al centro di quello che è oggi il territorio della Cechia.
Il nome di Toufar è menzionato in un faldone degli archivi degli organi di sicurezza (Archiv bezpečnostních složek) intitolato Fosse comuni nel cimitero di Ďáblice; la documentazione raccolta doveva servire per gettare luce su potenziali abusi degli agenti della StB negli anni precedenti. Già solo da questo aspetto è facile dedurre il momento storico in cui viene creato il faldone: siamo nel 1968 della Primavera di Praga, prima che l’invasione degli eserciti del Patto di Varsavia mettesse fine all’utopia del “socialismo dal volto umano” di Alexander Dubček.
Ma come mai tanto interesse per uno sconosciuto “curato di campagna”, ben diciotto anni dopo la sua morte? E come mai i colleghi aguzzini del 1950 si presero la briga di alterarne il cognome in Zoukal?
Infanzia, istruzione e ordinazione
Josef Jindřich Toufar nasce nel minuscolo villaggio di Arnolec, nella regione boema di Vysočina, il 14 luglio 1902. Per il padre Josef (contadino e proprietario della piccola osteria del villaggio, di cui fu anche sindaco) e la madre Marie (morta prematuramente a trentatré anni) si tratta del quarto di cinque figli.
Già da bambino il piccolo Josef è affascinato dalla figura del sacerdote, ma solo dopo la morte del padre, avvenuta nel 1927. Dopo aver ottenuto la maturità nel 1935 a Chotěboř, Toufar completa gli studi teologici a Hradec Králové, dove viene ordinato prima diacono e poi sacerdote nel 1940, e dove celebra anche la sua prima santa Messa il 5 luglio dello stesso anno. Assegnato alla parrocchia di Zahrádka, si distingue subito come cappellano dallo stile pastorale disinvolto e per la sua capacità di trovare il dialogo in maniera diretta con i parrocchiani.
Da Zahrádka a Číhošť
Il periodo buio del Protettorato nazista di Boemia e Moravia non risparmia la piccola comunità di Zahrádka, con arresti, esecuzioni e ingiustizie che segnano la vita dei tranquilli contadini del villaggio. Toufar rimane sempre al fianco dei suoi parrocchiani che oltre all’autorità spirituale ne riconoscono la grande umanità. La felicità della popolazione è grande quando nel 1945 viene ufficialmente promosso a parroco del villaggio, un ruolo che de facto ricopriva già da tempo.
Nel 1946 Toufar partecipa attivamente alla campagna elettorale del Partito Popolare ceco e la cosa non va giù ai comunisti, che iniziano a tramare per farlo allontanare da Zahrádka. Nonostante una sollevazione popolare senza precedenti, la diocesi cede alle pressioni rosse e il 7 marzo 1948 (un paio di settimane dopo il colpo di Stato comunista) trasferisce Toufar nel piccolo villaggio di Číhošť, distante circa quindici chilometri.
Con le stesse armi con cui aveva conquistato i fedeli della sua prima parrocchia, il sacerdote non fatica a farsi ben volere nella nuova comunità che gli viene assegnata. Toufar è una figura discreta ma sempre presente nella vita comunitaria dei suoi parrocchiani, ma non solo: la sua statura morale è riconosciuta apertamente anche dai non credenti.
Allo stesso tempo, non risparmia parole di ammonimento nei confronti dei comunisti: “Un giorno, i vostri figli si vergogneranno di quello che avete fatto”. Un altro punto importante della pastorale di Toufar è l’educazione delle giovani generazioni. Inutile dire che anche per questo il regime lo metterà sotto stretta sorveglianza anche dopo il trasferimento.
Il “miracolo di Číhošť”
L’ 11 dicembre 1949, terza domenica di Avvento, la vita di Toufar cambia per sempre. Durante l’omelia, in cui il sacerdote spiega ai fedeli quanto sia reale la presenza misteriosa di Cristo nella Chiesa, diciannove persone osservano il crocifisso posto sull’altare muoversi, inclinandosi ripetutamente a destra e a sinistra. Toufar non si accorge di nulla e scopre solo in seguito, parlando con alcuni parrocchiani, quello che era successo. Nel piccolo villaggio il sentimento dominante è la paura: il segno viene inteso come presagio di sventura. Il parroco stesso non sa bene come affrontare la questione. Dai vertici diocesani gli viene consigliata prudenza, e così Toufar spiegherà successivamente alla propria comunità: “Non possiamo parlare di miracolo e neppure di presagio in termini positivi o negativi. […] Semplicemente, il Signore ci ha dimostrato di essere realmente presente nel tabernacolo”.
Nei giorni seguenti il parroco incontrerà i testimoni per redigere insieme a loro le dichiarazioni da mandare alla diocesi. Allo stesso tempo, la voce del “miracolo” si sparge nei villaggi vicini e la chiesetta di Číhošť diventa meta di improvvisati pellegrinaggi, o anche solo di curiosi che vogliono sapere se le voci circolanti fossero vere o meno. Don Toufar si ritrova così a spiegare ripetutamente gli eventi di quella terza domenica di Avvento; non sembrano esserci altre conseguenze per la vita quotidiana della comunità.
Ma la notizia del crocifisso che si è mosso durante quella celebrazione arriva nel frattempo anche ai funzionari locali del regime. Ben presto sarà addirittura il presidente della repubblica cecoslovacca, Klement Gottwald, a ordinare che gli eventi di Číhošť siano presentati come una macchinazione del Vaticano contro il Paese e il sistema della “democrazia popolare” marxista-stalinista.
La lotta del regime alla Chiesa cattolica
Il contesto in cui si inserisce la vicenda del “miracolo di Číhošť” è quello del regime comunista, che identifica nelle chiese cristiane un potente nemico da sconfiggere, molto prima del colpo di Stato del febbraio 1948. La Chiesa cattolica era vista come quella più pericolosa, rispondendo all’autorità di quello che è di fatto il capo di Stato di un’altra nazione che si era peraltro già espressa in termini negativi nei confronti del comunismo. L’obiettivo del regime cecoslovacco era quindi di spezzare il legame tra il clero cattolico e la Chiesa universale, possibilmente creando una “Chiesa nazionale” come soggetto sostitutivo su cui esercitare il pieno controllo.
In questo senso, il regime aveva avviato colloqui con le gerarchie ecclesiastiche locali per giungere a un accordo, che però i prelati cattolici avevano continuato a respingere. Da questa situazione, nel 1949, nasce la Katolicka Akce (Azione Cattolica, nulla in comune con l’omonima e legittima istituzione fondata a Bologna nel 1867). La propaganda comunista riesce a convincere diversi sacerdoti in buona fede ad aderirvi, tra loro anche don Toufar. Il parroco di Číhošť rivedrà la propria posizione a seguito della dichiarazione ufficiale dei vescovi cecoslovacchi, ma non leggerà durante la messa la famosa Lettera pastorale “Messaggio dei vescovi e degli ordinari ai fedeli nell’ora della grande prova” nel giugno del 1949. Nonostante quindi fosse considerato “sospetto” dal regime, non vi erano, fino agli eventi di quella terza domenica di Avvento, motivi particolari per arrestarlo o vessarlo.
Il “miracolo” cambia decisamente tutto e causa l’avviarsi del micidiale apparato della StB, la polizia segreta cecoslovacca. L’ordine del presidente Gottwald è perentorio: il caso di don Josef Toufar deve trasformarsi in un processo pubblico agli inganni antipatriottici della Chiesa cattolica contro il comunismo.
(1 – continua)
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