Leone XIII capì che la Chiesa affrontava una situazione inedita ma era disattrezzata. Occorreva che la carità cristiana diventasse filosofia civile
Subito dopo l’elezione, Leone XIV ha spiegato il perché del nome scelto, in continuità con l’ultimo papa dallo stesso nome, Leone XIII (1810-1903), importante soprattutto per la sua enciclica Rerum novarum del 1891. Questo documento realizzò in quel momento una svolta e costituisce il testo esemplare della dottrina sociale della Chiesa.
Sarà ripreso e approfondito da vari pronunciamenti dei pontefici successivi: nel 1931 dalla Quadragesimo Anno, nel 1961 dalla Mater et Magistra, e nel 1991 dalla Centesimus Annus.
La dottrina espressa da Leone XIII non è nuova in quanto si rifà a concezioni elaborate dal pensiero cristiano nei secoli, ma è rivoluzionaria perché cerca di rispondere ai nuovi enormi problemi posti dalla rivoluzione industriale e dalla formazione di movimenti e partiti operai.
Per il Papa era imprescindibile un’opera di ri-cristianizzazione della società: scrisse infatti ben 89 encicliche! Cercò di far riprendere alla Chiesa quel ruolo di guida che la progressiva laicizzazione degli Stati le aveva fatto perdere; puntava a questo scopo sull’impegno pieno e sulla presenza del laicato cattolico nei confronti della misera situazione delle classi lavoratrici. Probabilmente il periodo trascorso negli anni quaranta come nunzio apostolico in Belgio, dove l’industrializzazione era già sviluppata, aveva illuminato il futuro pontefice sulla gravità di tale situazione che richiedeva un affronto improrogabile.
Ricordiamo a tale proposito che il Manifesto del Partito comunista era stato redatto da Marx ed Engels nel 1848, e la Prima associazione internazionale dei lavoratori creata da Marx a Londra risale al 1864, mentre la Seconda, che riuniva i rappresentanti dei partiti socialisti sorti in Europa, è del 1889. La Chiesa cattolica non aveva ancora preso una posizione ufficiale rispetto a tali fermenti, se non a livello locale, come in Germania, dove monsignor Wilhelm Ketteler, arcivescovo di Magonza, già nel 1864 aveva dato avvio ad una riflessione sulla questione sociale attuando nel contempo anche soluzioni pratiche.
L’enciclica Rerum Novarum si pone in antitesi con la soluzione socialista e marxista, considerata nociva per la società: al contrario di quella rivendica il diritto di proprietà, iscritto nella natura umana e confermato dalla morale cattolica, specie da san Tommaso; contrappone alla lotta di classe la necessità di una collaborazione tra proprietari e lavoratori, di cui un valido esempio erano state in passato le corporazioni di arti e mestieri. Auspica fortemente il ripristino di tali associazioni – anche miste, cioè formate da operai e padroni – come patronati, cooperative, casse rurali, società di mutuo soccorso ecc.
In Italia queste realtà erano di fatto già presenti, specie in Veneto e in Lombardia e soprattutto nelle zone rurali, ed erano coordinate a livello nazionale dall’Opera dei Congressi e dei Comitati cattolici. L’invito papale fornisce loro nuova energia e ne incoraggia la diffusione. Nel decennio 1891-1898 le società operaie passarono da 284 a 784, le casse rurali da 287 a 691 e così via.
Di fronte al liberalismo la Rerum Novarum nega che la libertà da sola sia condizione sufficiente per la giustizia nei rapporti sociali; rivendica la destinazione sociale dei beni economici, difende il valore della persona umana e la dignità del lavoratore. Inoltre rifiuta la concezione dello Stato liberale che assiste indifferente ai guasti dell’economia capitalistica: rivendica il diritto/dovere di quest’ultimo ad intervenire al fine della realizzazione della giustizia, che viene anche declinata nei suoi aspetti precipui.
Significativo è il titolo della conclusione dell’enciclica: “La carità signora e regina di tutte le virtù” perché non si può dimenticare che essa sola è il valido antidoto all’egoismo e all’orgoglio del secolo.
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