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Home » Cultura » Storia » STORIA/ Un assedio di mille uomini contro l’ultima peste in Italia, Noja 1815

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STORIA/ Un assedio di mille uomini contro l’ultima peste in Italia, Noja 1815

La peste di Noja, in Puglia, tra il 1815 e il 1816 fu l’ultima a colpire l’Italia. Ecco come le cronache dell’epoca raccontarono la guerra fino allo “spurgo”

Maurizio Modugno
Pubblicato 7 Aprile 2020
Pieter Bruegel il Vecchio, Trionfo della morte (1562), particolare

Pieter Bruegel il Vecchio, Trionfo della morte (1562), particolare

L’inizio del secondo ventennio degli anni Duemila passerà agli atti della storia come profondamente marcato dagli eventi che l’espandersi e il radicarsi del Covid-19, del coronavirus, prima in Cina e in Estremo Oriente, quindi in Italia e in Europa, sta provocando ai nostri correnti giorni.

Pochi ricordano di persona qualche non meno inquietante precedente: forse l’epidemia di colera che nell’estate del 1973 ebbe il suo epicentro a Napoli; certo solo dai giornali dell’epoca e dai libri, ormai, è nota la pandemia d’influenza che devastò il mondo sul finire della Prima guerra mondiale, con esiti di mortalità a essa più che confrontabili. Studi recenti hanno confermato come occasionale e improprio il nome di “spagnola” attribuitole: in realtà i focolai del virus vennero individuati nella Cina settentrionale a partire dal novembre del 1917; e i suoi canali d’arrivo in Europa furono sia attraverso le truppe americane, sia attraverso alcune migliaia di lavoratori cinesi impegnati sul Fronte occidentale, sia attraverso gli snodi essenziali delle centinaia e centinaia d’ospedali da campo affollati dai feriti di guerra.


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Quasi nessuno ricorda più invece l’ultima vera e propria peste (yersinia pestis) che colpì l’Italia limitatamente ad una parte del Regno delle Due Sicilie: la peste di Noja (l’attuale Noicattaro), in Puglia tra il 1815 e il 1816. Una cospicua serie di “instant books” pubblicati tra il 1816 e il 1817 ne dà conto: il celebre Ragguaglio istorico della peste sviluppata in Noja di Cesare della Valle di Ventignano (Napoli 1816), la Storia della peste di Noja di Vitangelo Morea (Napoli 1817) e il Dettaglio istorico della peste di Noja di Arcangelo D’Onofrio (Napoli 1817).


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Le radici se ne scorsero, da questi e da altri autori, identiche a quelle della peste che aveva devastato le Universitates (le città) di Mola di Bari e di Conversano a partire dal 1690: il contrabbando privo di controlli sanitari dei pellami e dei filati grezzi provenienti da oltre Adriatico, da Dalmazia, Epiro, Grecia, isole mediterranee, Impero Ottomano (con qualche ulteriore sospetto per l’Egitto). Le piccole e segrete cale del litorale a sud di Bari – famigerate erano Cala Paduano e Cala Ripagnola – favorivano tali sbarchi, sui quali lucravano poi feudatari e conventi, conciatori e mercanti all’ingrosso o al dettaglio. Della Valle v’aggiunge il carico d’una valenza politica, puntando il dito contro “i delirj del sistema continentale” (ossia il napoleonico Decreto di Berlino del 1806) e i “lunghi disastri” conseguenti alla Rivoluzione francese e alle guerre europee.


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Il riscontro dell’epidemia nojana non fu tempestivo, ma rimase incerto e sottovalutato per ben 37 giorni. Sì che, oltre i casi direttamente verificati dai medici locali, l’autorità s’estese a dover censire i “fuggitivi locali” che dalla Terra di Bari s’erano portati fino a Otranto e a Napoli; le “vetture de’ negozianti” ch’erano stati a Bari per “la solita fiera” di settembre” (1815) e che da Noja (centro essenziale del commercio dell’olio e dell’uva) erano come al solito transitati; tutti i carichi dei cotoni “suscettibili e tenaci del miasma contagioso” da qui inviati sino alla Capitale; e infine tutti i propalatori di notizie esagerate (le fake news dell’epoca) che andavano diffondendo “terrore e pericolo” nel Regno.


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La militarizzazione del territorio, ormai alla fine di dicembre, fu la scelta obbligata. Il maresciallo di campo Roberto Mirabelli venne spostato dalla Calabria Citra e messo a capo, con pieni poteri, del contingente che la notte del 29 dicembre aveva praticamente cinto d’assedio la città e che arriverà a contare oltre mille uomini. Fossati, trincee, ponti levatoi, cavalli di Frisia, posti di guardia armata esclusero Noja da ogni contatto con il territorio circostante. Come in una guerra, chi trasgrediva i regolamenti cercando di uscire o entrare, veniva prima ammonito, poi processato e passato per le armi o nei casi più lievi pubblicamente punito. Tuttavia la certezza che il “soffio avvelenato” fosse già tracimato altrove, indusse il ministro segretario di Stato degli interni Donato Antonio Tommasi di Casalicchio “ad apprestare i mezzi convenienti per soffogarlo in qualunque altro angolo del Regno”.


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“In ciascuna capitale di provincia fu stabilito quasi un centro di corrispondenza tra ogni più meschino villaggio del Regno e il Magistrato di Sanità”; “a curar l’osservanza de’ severi ordini sanitari, senza nuocere menomamente alla circolazione delle merci di prima necessità” (Ragguaglio, cit.). Tutte le norme generali furono peraltro apprestate a Napoli dal Soprintendente Generale di Salute Raimondo de Gennaro (che dal 1820 sarà ministro degli Interni). Volle questi inviarvi dalla Capitale anche “una Commissione di Medici e Chirurgi” che “il Governo incoraggiò con soldi considerabili e grandi promesse” (ibidem).


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Lo stesso maresciallo Mirabelli additò per tempo il pericolo che poteva venire dallo scenario adriatico: si stabilirono cordoni marittimi e quarantene per il traffico navale verso il Nord (la tratta Bari-Venezia era da secoli frequentatissima da merci e passeggeri), verso il Sud (lo stretto di Messina) e verso Oriente. L’orizzonte da tener sotto osservazione era sconfinato e si calcola che ogni giorno vi venissero impiegati circa 5mila uomini.

Passata la lunga ora più buia del miasma pestilenziale di Noja – non priva d’atti eroici del personale militare e medico, come di trasgressioni, meschinerie e isterie di massa – ai primi d’aprile 1816 “il morbo divenne più mite” e “il giorno 15 giugno fu il primo della totale cessazione del contagio”. “Sul principio della peste quel paese contava 5413 abitanti; i contagiati furono 981 de’ quali 773 perirono e 208 riuscirono a guarire”. Gli elenchi dei defunti, tuttora consultabili, pongono tristemente in rilievo l’assoluta maggioranza dei bambini e dei giovani fino ai vent’ anni.

Le operazioni di bonifica, “lo spurgo”, terminarono per la festa d’Ognissanti, il 1° novembre 1816 (Ragguaglio, cit.). In quel giorno, con un eccezionale concorso di folla – maresciallo, ufficiali, truppa, ministri del Re, commissione medica, arciprete e clero – s’abbatterono le barriere della città, al fragore consono dell’artiglieria a salve e della banda militare (Dettaglio storico, cit.). La peste era finita.

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