Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel suo tradizionale messaggio inviato alla città di Bologna e ai familiari delle vittime di quel vile attentato del 2 agosto 1980 ricorda la necessità sempre più attuale di “eliminare” ogni zona d’ombra rimasta che copre la verità sulla Strage di Bologna da 39 lunghissimi anni. «Le istituzioni grazie all’opera meritoria dei suoi uomini, sono riuscite a definire una verità giudiziaria, giungendo alla condanna degli esecutori e portando alla luce la matrice neofascista dei terroristi. L’impegno profuso non è riuscito, tuttavia, a eliminare le zone d’ombra che persistono sugli ideatori dell’attentato. È una verità che dovrà essere interamente conquistata, per rendere completa l’affermazione della giustizia», scrive il Capo dello Stato nella lunga lettera inviata a Bologna. Sempre Mattarella poi aggiunge «La disumana ferocia della strage alla stazione di Bologna è parte incancellabile della memoria del popolo italiano e della storia della Repubblica. Il trentanovesimo anniversario dell’attentato terroristico ci richiama, anzitutto, a un rispettoso raccoglimento dinanzi alle vite crudelmente spezzate. Le democrazie si nutrono dei sentimenti più profondi di umanità. È questa condivisione che ha consentito di unire le forze per sconfiggere la barbarie degli assassini, di fare prevalere il tessuto sociale che si voleva strappare, di cercare sempre e ostinatamente la verità, anche quando errori, colpevoli inerzie e ignobili complicità hanno ostacolato il percorso della giustizia». Per il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, presente a Bologna per il memoriale della Strage, «Il tempo tempo del silenzio è finito, ci stiamo muovendo finalmente tutti nella stessa direzione». A breve infatti la Camera dei Deputati dovrebbe rendere pubbliche e desecretate diverse documentazioni sulle Commissioni Parlamentari d’inchiesta sulla Strage di Bologna, in attesa che i tempi della giustizia facciano invece il loro corso sulle inchieste ancora aperte dopo 39 anni.
LE VITTIME: “SPERANZE PER LA VERITÀ”
Mentre è in corso il corteo di istituzioni di Bologna, familiari delle vittime e rappresentanti dello Stato verso la Stazione dove avvenne 39 anni fa l’immane Strage, si fanno sentire le associazioni di quei familiari che dal 2 agosto 1980 non per volontà loro hanno avuto sconvolta la vita. «Quest’anno possiamo nutrire delle speranze verso la verità. L’anno scorso, ci sono stati degli impegni presi dal Governo che si cominciano ad avviare, come la digitalizzazione degli atti e i fondi messi a disposizione dalla Cassa Ammende e Csm. Vedo qui, in sala, David Ermini, vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e non posso che ricordare il grande impegno per la legge sul depistaggio che ora non è più un vocabolo ma un reato», ha ricordato Paolo Bolognesi in una lunga nota prima dell’arrivo alla Stazione per l’omaggio alle vittime della bomba “misteriosa” di quel 2 agosto 1980. La pista fascista allora come oggi è la più battuta nonché quella definita dalle sentenze: restano però le diverse altre “ombre” che in questi mesi-anni si sono aggiunte all’indagine principale. Lo stesso presidente dell’Associazione Vittime ricorda «La tappa più importante per la ricerca della verità è la riapertura del processo del processo a Gilberto Cavallini, riguardo la possibilità che sia il quarto uomo, tra chi ha aiutato ad attuare l’eccidio del 2 agosto 1980 e sui mandanti. E’ importante il fatto che emerga che Cavallini era vicino ai servizi segreti di allora, è piuttosto rilevante perché il discorso che vedeva i Nar come spontaneisti armati, non tiene più».
ORE 10.25, LA STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA
Erano le 10.25 del 2 agosto 1980 quando avvenne il più grave attentato terroristico in Italia dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale: in una mattina caldissima di mezza estate, una bomba scoppiò all’interno della Stazione ferroviaria di Bologna. Fece 85 morti, più di 20 feriti e un mistero che dura “intatto” 39 lunghissimi anni: vennero condannati Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (con l’aggiunta poi dell’allora minorenne Luigi Ciavardini, condannato nel 2007) ma i mandanti non vennero mai trovati neanche dopo le sentenze definitive nei primi anni Duemila. «Appartenenti alla banda armata che ha organizzato e realizzato l’attentato di Bologna e per aver fatto parte del gruppo che sicuramente quell’atto aveva organizzato», si leggeva nella sentenza finale del 1995, ma i coni d’ombra di quella terribile Strage di Bologna rimangono e permangono ancora oggi quando le nuove inchieste degli ultimi mesi e il ritrovamento dell’interruttore della bomba all’interno della Stazione hanno forse riaperto definitivamente l’indagine sull’attentato terroristico. La ritorsione neofascista è sempre stata la linea ufficiale di tutte le inchieste e sentenze, ma segreti servizi segreti deviati, ombre del terrorismo rosso e soprattutto la “tesi” di Francesco Cossiga sulla “resistenza palestinese” non sono mai state abbandonate del tutto come ipotesi. «Bologna e l’Italia seppero reagire, mostrando quei principi di solidarietà radicati nella nostra storia. Le inchieste hanno individuato gli esecutori, delineato la matrice neofascista dell’attacco. Ma le sentenze hanno scoperto anche gravissimi depistaggi. Restano ancora zone d’ombra da illuminare», scriveva lo scorso anno il Presidente Mattarella nel messaggio alla città di Bologna e alle vittime della Strage nella Stazione centrale.
2 AGOSTO 1980, LA RICERCA DELLA VERITÀ DOPO 39 ANNI
«Amos Spiazzi con quell’intervista pubblicata pochi giorni dopo la strage di Bologna indicò Francesco Mangiameli come l’anello debole, come quello che aveva parlato. Che aveva dato delle informazioni. Puntò il dito su Mangiameli indicando la necessità di eliminare un personaggio che poteva diventare scomodo», ha scritto Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione familiari vittime della strage di Bologna, alla vigilia della Strage di Bologna. Parla dell’omicidio di Francesco Mangiameli, dirigente siciliano di Terza Posizione, l’organizzazione di estrema destra che all’epoca faceva capo a Roberto Fiore e Gabriele Adinolfi: le indagini dell’epoca scoprirono che negli ultimi giorni di luglio del 1980 Fioravanti e Mambro, entrambi latitanti, soggiornarono nella villa di Francesco Mangiameli a Tre Fontane, nei pressi di Mazara del Vallo. Giusto ieri i due esponenti leader dell’epoca in Terza Posizione attaccano lo Stato e si professano “vittime”: « 39 anni dalla strage di Bologna possiamo sperare in un giro di boa che inchiodi alle loro responsabilità mandanti e autori insieme a coloro che hanno più volte depistato. Noi, vittime acclarate di depistaggi ripetuti, lo auspichiamo con forza». Rispetto alle nuove inchieste e processi in corso a carico dell’ex Nar Gilberto Cavallini, il Presidente Bolognesi spiega ai microfoni di EstremeConseguenze.it «Delle otto stragi succedutesi in Italia dal 1969 al 1984, quattro sono rimaste finora senza colpevoli. Per nessuna è mai stato celebrato un processo a carico di mandanti individuati come tali. Questo perché – e le vicende processuali lo dimostrano – pezzi di apparati dello Stato hanno occultato la verità utilizzando lo strumento del depistaggio. L’inchiesta sulla strage di Bologna ne è l’esempio: i vertici piduisti del Sismi, l’allora servizio segreto militare, per coprire i responsabili dell’eccidio fecero ritrovare una valigia con l’esplosivo utilizzato alla stazione, e inviarono ai magistrati false informative contenenti le più svariate piste internazionali indicate dal loro venerabile maestro Licio Gelli, capo della Loggia P2 a cui appartenevano. Per questo furono condannati in via definitiva».
STRAGE BOLOGNA, LE NUOVE INDAGINI E GLI SCENARI
Nell’anniversario della Strage di Bologna, fa più rumore che mai l’ultima inchiesta che si è di fatto riaperta dopo il ritrovamento dell’interruttore della bomba a seguito della super perizia tra i detriti rimasti dall’esplosione del 2 agosto 1980. Dalla medesima perizia sono emerse anche la conferma sulla composizione dell’esplosivo, l’ipotesi di una esplosione accidentale oltre che, appunto, quello che potrebbe essere l’interruttore dell’esplosivo usato nella strage di Bologna. Non furono 20-25 i chilogrammi di esplosivo impiegati bensì 11, composti da T4 e tritolo con residui di gelatina, al contrario di quanto emerso nei processi a carico di Mambro, Fioravanti e Ciavardini. Sono molte le piste ancora in corso di indagine, ma più prosegue l’evoluzione della super perizia di questi ultimi mesi e più si delinea quello che l’ex Presidente della Repubblica Cossiga rivelò, in maniera clamorosa, in una lunga intervista al Corriere della Sera di 11 anni fa: «un trasporto finito male» è il senso di quanto l’ex DC accusava in merito ad una possibile bomba di origine “palestinese” che non era pensata come attentato in atto in quella Stazione ma che potrebbe essere esplosa “accidentalmente”. Chiaramente si tratta ad oggi di una ipotesi che però non può essere trascurata. Su questo aspetto si deve procedere con i piedi di piombo, come fa intendere l’esplosivista Danilo Coppe che, raggiunto da Repubblica.it, spiega come la presenza dell’interruttore «non è giustificata nella sala d’aspetto in cui esplose la bomba. Tuttavia la certezza assoluta che sia quello che ha innescato la bomba non può essere data». Secondo Federico Mollicone – deputato di Fratelli d’Italia che ha presentato nei giorni scorsi l’Integruppo parlamentare “2 agosto. La verità, oltre il segreto sulla strage di Bologna” – «L’esito della perizia sull’esplosivo che ha causato la strage di Bologna rappresenta un punto di svolta: se la detonazione fu casuale e l’ordigno uguale a quello sequestrato alla terrorista della rete Separat di Carlos, Margot Christa Frohlich – fra l’altro presente a Bologna il giorno della strage con Thomas Kram – è evidente che la procura debba riaprire l’indagine sulla pista palestinese. La Presidenza del Consiglio, che è garante degli archivi, dimostri vera trasparenza e desecreti i documenti relativi a questo fatto tragico della storia repubblicana e a tutti quelli collegati».