Un raid che gli israeliani giustificano perché finalizzato a colpire due terroristi di Hamas, Yassin Rabia e Khaled Nagar, capi militari che hanno operato soprattutto in Cisgiordania. Quello che vediamo, però, è la solita carneficina di cui hanno fatto le spese gli sfollati, che credevano di trovarsi in posti sicuri e invece sono stati arsi vivi dall’incendio provocato dalle bombe dell’IDF. Sarebbero 45 le persone che hanno perso la vita, comprese donne e bambini. Per questo l’attacco di Israele a Tal as Sulman ha provocato una nuova ondata di sdegno e indignazione, tanto che le stesse autorità militari israeliane avrebbero aperto un’indagine.
Subito dopo il blitz, Tel Aviv ha incassato le reazioni decise, almeno a parole, del responsabile esteri della UE Borrell, di Macron, del ministro della Difesa italiano Crosetto, e prima ancora dell’ANP, dell’Egitto, della Spagna, dell’Arabia Saudita, che hanno bollato come inaccettabile un’azione che arriva a pochi giorni dall’ordinanza della Corte internazionale di giustizia dell’Aja che chiede a Israele di fermare le operazioni a Rafah.
Ma non c’è solo questo, spiega padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa: l’uccisione degli sfollati è l’ultimo di una serie di episodi che hanno portato a 36mila morti (con i dispersi forse si arriva a 50mila), ma nelle stesse ore è morto un soldato egiziano e altri sono rimasti feriti in una sparatoria con gli israeliani avvenuta al confine. Se la guerra si estende anche a un Paese come l’Egitto che ha un trattato di pace con Israele, le conseguenze potrebbero essere davvero inimmaginabili.
Padre Faltas, l’ultimo attacco a Rafah, dove sono morte decine di sfollati, sta indignando tutto il mondo. Quanto può pesare sulla guerra?
Credo che l’episodio più grave politicamente sia l’uccisione di un soldato egiziano e il ferimento di altri militari. A Tal as Sulman gli israeliani hanno riferito di aver bombardato, ma poi si è verificato un incendio che ha ammazzato tutte queste persone, qualcuno dice più di 60, molte delle quali, come sempre, donne e bambini. Erano sfollati: gente a cui avevano detto di andare lì perché era un posto più sicuro.
Il fatto ha colpito particolarmente l’opinione pubblica europea e araba. Porterà finalmente a una reazione più determinata della comunità internazionale per ottenere la pace?
Lo stiamo dicendo da otto mesi: occorre un cessate il fuoco, bisogna porre fine a questa guerra, il problema è che nessuno ascolta. In questo conflitto ci sono già state moltissime vittime, hanno superato quota 36mila. In realtà sono molte di più: sotto le macerie secondo alcuni ci sono più di 10mila cadaveri. I morti complessivi possono essere più di 50mila. Poi ci sono 80mila feriti. Senza contare le persone malate, che stanno morendo. Noi abbiamo lavorato molto per far uscire bambini malati gravi ma ultimamente non siamo riusciti perché è stato occupato il valico di Rafah: nessuno può uscire né entrare. Quelli che abbiamo portato in Italia finora sono usciti da lì, sono andati in Egitto e poi a Roma.
Si parla di 20mila persone tra feriti, malati cronici e terminali, anche di cancro, che dovrebbero lasciare Gaza per curarsi e invece non possono. Non si può sbloccare la situazione almeno per loro?
Sto lavorando da mesi per trasportare qualcuno di questi malati. Abbiamo portato 170 bambini con accompagnatori in Italia: alcuni hanno partecipato all’incontro per la Giornata mondiale dei bambini con il Papa. Stiamo cercando di farne arrivare altri ma è tutto bloccato almeno da venti giorni.
L’incursione di Tal as Sulman è in qualche modo una risposta di Israele alla Corte internazionale di giustizia che ha chiesto di interrompere l’operazione a Rafah?
Io dico solo una cosa: questa guerra deve finire. Chi ne paga le conseguenze sono i bambini e le donne innocenti, gente che non ha fatto niente per meritarsi tutto questo. Bisogna bloccare la guerra: basta, non si può continuare così. Ci rimette la povera gente. Sono morti anche molti soldati israeliani, più di 700. La comunità internazionale deve intervenire.
A complicare ulteriormente la situazione ci si è messo anche questo scontro tra soldati egiziani e israeliani.
Quello che è successo fra l’esercito israeliano e quello egiziano è una cosa molto grave: il problema è che si rischia un allargamento della guerra, anche se c’è un accordo di pace fra Egitto e Israele e il Cairo sta svolgendo un ruolo di mediazione su tregua e ostaggi. Dovevano ricominciare le trattative, ora Hamas avrebbe già fatto sapere che non parteciperà. Ogni giorno la situazione si complica.
Può incidere più questo fatto che non il massacro degli sfollati?
Nell’episodio di Rafah sono morte 45, forse 60 persone, ma complessivamente siamo ormai a quasi 40mila morti. È da otto mesi che succede la stessa cosa, con episodi in cui i morti erano anche più di quelli di oggi. Senza dimenticare i feriti (81mila) e le vittime israeliane dal 7 ottobre. E non abbiamo ancora parlato della Cisgiordania, dove i morti sono centinaia e gli arresti sono vicini ai 9mila. Lo scontro fra soldati di Israele ed Egitto mi preoccupa di più perché potrebbe portare a un’escalation.
Tutto questo per arrivare a una situazione della quale non si scorge la fine. A cosa è servito, anche dal punto di vista militare, distruggere tutto?
Dopo otto mesi Hamas è stata capace di lanciare altri missili contro Tel Aviv, proprio dal posto in cui, secondo Israele, doveva essere stata già cacciata. E di ostaggi non ne sono stati liberati. Da parte israeliana qualcuno dice che questa guerra durerà anni. Siamo in una situazione orribile.
Gli aiuti per la popolazione di Gaza ora riescono a entrare da qualche parte?
No. Non abbastanza, c’è ancora gente che muore di fame, così come sono morti anche di freddo. E ora succede anche per colpa del caldo o per il fatto che non c’è acqua. Non è un modo di dire, succede proprio così. Ci sono altri che muoiono per mancanza di cure.
Come stanno i bambini che siete riusciti a portare in Italia?
Quando sono arrivati erano in pessime condizioni, in questi giorni ho visto come sono rinati. Alcuni hanno partecipato alle manifestazioni di domenica con il Papa all’Olimpico e in Vaticano. C’erano anche bambini di Betlemme, di Gerusalemme e di Gaza: in tutto erano 60. Francesco era contentissimo. Una bambina non vedente di Gerusalemme ha cantato davanti a lui. Un segno di speranza. Ora però bisogna tornare a chiedere il cessate il fuoco, se si continua la guerra non si va da nessuna parte.
(Paolo Rossetti)
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