I recenti richiami alla figura di don Luigi Sturzo, ricordando la nascita del Partito Popolare Italiano il 18 gennaio 1918, sono l’occasione per interrogarsi sul senso del “popolarismo” oggi, nonché sul senso stesso della politica, “forma più compiuta di cultura”, secondo la definizione di don Luigi Giussani.
È utile riprendere il tema per mettere in luce la centralità del lavoro nell’opera del sacerdote di Caltagirone: “Il lavoro, condizione necessaria per tutti, forma gran parte della esplicazione della vitalità degli uomini”, nella condivisione di condizioni, valori e bisogni, con forza di creare ed accrescere i legami tra le persone (L. Sturzo, L’organizzazione di classe e le unioni professionali).
Alla luce della Rerum Novarum di Leone XIII, don Sturzo sviluppa una concezione integrale, leggendo e interpretando, secondo una visione organica, il “grande conflitto” in seno al processo produttivo. Le storiche battaglie che egli intraprese per la libertà hanno le radici nella difesa della personalità umana, che mediante il lavoro (laborem exercens) esprime la propria consistenza.
Si tratta di una vivente linea di confine onde contrastare la pretesa dello Stato accentratore, che determina, come affermò in occasione del 61esimo della Rerum Novarum, forme di “dittatura economica” sino alla “dittatura politica (palese o larvata) … sopprimendo o rendendo inefficiente, secondo i casi, la iniziativa privata e quindi la personalità umana che è alla base della produttività economica come è alla base della libertà politica”.
Da qui l’elaborazione teorica e pratica per superare l’atomizzazione prodotta dallo Stato liberale, salvaguardando e promovendo la libertà dei corpi intermedi ancorata alla creatività solidale. L’esperienza popolare di don Sturzo, intimamente legata al soggetto del lavoro, costituisce un chiaro criterio di orientamento e di azione nell’attualità.
A riguardo, è stimolante l’indicazione che ci viene dalla Fratelli tutti, in cui Papa Francesco identifica la politica autenticamente popolare con la creazione di lavoro: “Il grande tema è il lavoro.
Ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze” (FT, 162). … Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che abilita la sua azione politica” (FT, 186).
L’adeguata concezione del lavoro è il fondamento di una “politica veramente popolare”, oltre l’assistenzialismo statalista e il liberismo degli scarti, realizzando le condizioni necessarie per l’espressione di nuovi soggetti socio-economici nel mercato e nella società. L’intuizione politica di don Sturzo consisteva nell’allargamento delle basi popolari della politica e dello Stato per una democrazia reale, sostanziale, partecipata, non formale.
Oggi il compito politico primario è la ricostruzione del fondamento stesso della democrazia, facendo leva sulle capacità di intrapresa e di creazione di lavoro delle comunità intermedie, le quali, in quanto tali, sono realtà con piena soggettività pubblica.
Soggetti creatori e moltiplicatori dei processi di democrazia economica e dunque interpreti dell’ampliamento della ragione politica a favore di una razionalità aperta, attuando innovative politiche di governance, oltre il particolarismo e gli schemi precostituiti.
È quanto, in un certo senso, esortava Papa Francesco ai Rettori delle Università dell’America Latina: “Formiamo i nostri giovani ad essere politici, nel senso più ampio del termine. Non solo agire in un partito politico, che è un piccolo gruppo, ma ad avere un’apertura politica e saper dialogare con i gruppi politici con maturità”.
Apertura e dialogo, come suggeriscono le esperienze di costruzione del welfare territoriale proprio in sintonia con il pensiero di don Sturzo, radicando i servizi alla persona nelle comunità locali attraverso modalità di mediazione e condivisione socio-istituzionale.
Ciò che l’insegnamento di don Sturzo ha determinato sul piano della complessiva cultura politica e quanto altro potrebbe rideterminare nel presente, andando alle sorgenti del suo impegno socio-culturale e politico, interroga tutti circa l’impeto ideale da cui nacque l’esperienza di un “soggetto popolare”. “La vera vita è quella che corrisponde a tutte le nostre aspirazioni più profonde”. (L. Sturzo, La vera vita. Sociologia del soprannaturale, Edizioni di storia e letteratura, 1947).
Dal fascino di una vita vera, coincidente in don Sturzo con l’esperienza della fede, scaturiva la sua “intelligenza del reale”, capace di rinnovare le ragioni rigenerative e ricostruttive di un popolo protagonista, fortificando le sue articolazioni naturali, sociali e storiche.
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