LA CORTE COSTITUZIONALE “CONFERMA” I CASI DI NON PUNIBILITÀ PER IL SUICIDIO ASSISTITO
Al netto del linguaggio “giuridico”, l’elemento chiave della nuova decisione della Corte Costituzionale sul suicidio assistito è che viene confermata l’originaria sentenza del 2024: in sostanza, è giusto e costituzionale che resti il requisito del trattamento vitale per i pazienti richiedenti l’iter del Fine vita. Ancora più semplicemente, la Consulta nella nuova sentenza depositata oggi 20 maggio 2025 ritiene pienamente costituzionale che per accedere in maniera legale al suicidio assistito il paziente debba essere dipendente da un trattamento di sostegno vitale, ovvero che sia per lui necessario un trattamento come ventilazione o nutrizione artificiale per poter vivere.
Solo i cittadini che si trovino in queste condizioni, dopo opportuna valutazione medica, può richiedere l’attivazione dell’iter di Fine vita previsto dalle due sentenze della Corte Costituzionale del 2019 e del 2024: non solo, è solo in queste condizioni che chiunque si ponga nel caso di aiutare tali pazienti non deve essere punito dalla legge per il reato di aiuto al suicidio. È sempre la Consulta a ritenere tale scelta del suicidio assistito come non in violazione del diritto della singola persona a decidere e determinarsi la propria vita.
La sentenza numero 66 della Consulta prende forma dai ricorsi presentati dal Tribunale di Milano: nello specifico, i giudici costituzionali non ritengono fondate le questioni di legittimità costituzionali dell’articolo 580 del Codice Penale sollevate dal Gip di Milano. Al giudice si era rivolto un pm che aveva chiesto a sua volta di archiviare due procedimenti per presunto aiuto al suicidio: nella sentenza depositata oggi – con relatori i giudici Viganò e Antonini – la Corte ha ritenuto di confermare la costituzionale legittimità di subordinare il requisito del trattamento vitale come elemento per non punire l’aiuto al suicidio.
I GIUDICI TORNANO A “PRESSARE” IL PARLAMENTO PER UNA LEGGE SUL FINE VITA
Con l’occasione della sentenza, la Corte Costituzionale vuole confermare in toto l’impianto dei requisiti fissati dalla sentenza n.135 del 2024, ovvero quella in cui venivano tracciati i “contorni” e i limiti del Fine vita che tutt’ora rappresentano i punti di partenza delle varie leggi regionali degli scorsi mesi (che puntano a ridurre la tempistica di approvazione dell’iter per il suicidio assistito). La capacità di intendere e volere, la patologia irreversibile, una sofferenza considerata dai medici “insostenibili” e, appunto, il trattamento di sostegno vitale del paziente che fa richiesta di una morte assistita.
Secondo però quanto inserito in questa nuova decisione sul tema delicato del Fine vita, debbono comunque sussistere assieme le 4 condizioni: non è infatti necessario che il paziente sia tenuto ad iniziare il trattamento vitale al solo scopo di poter poi essere aiutato a morire. La presenza di tutti e 4 i requisiti fissati per richiedere il suicidio assistito è fondamentale per evitare e prevenire abusi e/o danni alle persone vulnerabili, senza istituire alcun “diritto alla morte” come erroneamente viene fatto passare dalle istanze culturali e politiche pro-eutanasia che precedono l’iter sul Fine vita.
Si vuole infatti evitare di indurre le persone malate a scelte che possano portate alla morte anticipata, provando invece a sostenere i pazienti e le singole famiglie: tutto questo viene ricordato dalla Consulta che coglie l’occasione per ribadire (e pressare) al Parlamento la creazione di un disegno di legge sul Fine vita. La preoccupazione dei giudici costituzionali è sia per la carenza di assistenze mediche ed ospedaliere in maniera capillare sul territorio italiano, così come l’assistenza dei pazienti che risultano ancora “indecisi” sull’iter della sentenza Cappato-DjFabo; ma il pensiero preoccupato della Consulta volge anche sulla mancanza di una legge che possa attuare e meglio normare le istanze decise dalla Corte con le due sentenze del 2019 e 2024.