Suicidio assistito, cresce il fronte contrario tra i medici in Regno Unito: in discussione etica, prognosi e pressioni familiari nel sistema sanitario
Il dibattito sulla legalizzazione del suicidio assistito nel Regno Unito continua a spaccare in due la comunità medica e secondo un sondaggio della BBC condotto su 1.000 professionisti, oltre 500 medici di base si sono detti contrari mentre 400 si sono dichiarati favorevoli; la proposta di legge (attualmente in discussione con vari emendamenti in Parlamento) prevedrebbe l’accesso alla morte medicalmente assistita per i pazienti terminali con una prognosi inferiore ai sei mesi.
Il Royal College of Psychiatrists ha però espresso una posizione netta di dissenso ribadendo il rischio legato alla carenza di specialisti per valutare le richieste e ha posto dubbi sulla vulnerabilità delle persone che soffrono per solitudine, disagio economico o altre fragilità non cliniche, elementi – questi – che potrebbero influenzare drammaticamente la decisione.
La presidente Lade Smith ha affermato che l’ente non può sostenere l’attuale proposta di legge suggerendo invece un rafforzamento delle cure palliative, oggi in gran parte sostenute da fondi caritatevoli e secondo lei, migliorare l’accesso a queste cure sarebbe più eticamente e socialmente responsabile rispetto a introdurre una misura così estrema; l’argomento – così com’è posto – secondo molti specialisti tocca punti delicati non solo sul piano medico ma anche su quello sociale e morale e rischia di aprire falle in un sistema sanitario già fortemente sotto pressione.
Suicidio assistito in UK: tra coscienza individuale e pressioni familiari
Dall’altra parte della discussione sul suicidio assistito si presentano fratture ancora più profonde all’interno della stessa categoria professionale con i 500 medici contrari che hanno usato espressioni dure per denunciare quella che ritengono una deriva etica inaccettabile e molti di loro hanno scritto che i medici sono formati per curare, non per uccidere e che dietro il concetto di “diritto di morire” potrebbe insinuarsi, per i più fragili, un vero e proprio “dovere”, una pressione implicita a non pesare su figli, coniugi e assistenti.
Il 90% degli oppositori ha dichiarato di temere che le persone vulnerabili possano essere influenzate da interessi familiari più economici che affettivi, portando come esempio i casi di anziani il cui unico legame con i parenti è legato all’eredità: il 50% ha poi espresso motivazioni religiose, definendo la vita sacra e il suicidio assistito un peccato – non una scelta – altri ancora hanno criticato le priorità del sistema sanitario, affermando che risulta assurdo discutere di morte assistita quando gli ospizi sopravvivono solo grazie alle donazioni mentre i 400 medici favorevoli – al contrario – hanno portato testimonianze forti, raccontando di pazienti – e familiari – consumati dalla sofferenza.
Il 90% di loro ritiene che la legge offrirebbe una fine dignitosa sostenendo che la libertà individuale debba prevalere sul paternalismo medico ma anche sul piano pratico le preoccupazioni non mancano: il 25% dei medici ha ammesso che, per alcune patologie, è quasi impossibile stimare correttamente l’aspettativa di vita e in questo scenario, la legge – se approvata – non obbligherebbe i medici a partecipare (il 50% degli intervistati si è detto disposto a discuterne con i pazienti, mentre 161 colleghi accetterebbero di preparare la sostanza letale).
Il Royal College of GPs invita a riflettere sulle implicazioni legali e Sarah Wootton – dell’associazione Dignity in Dying – ha citato i modelli sicuri già attivi in Australia e negli Stati Uniti – allo stesso tempo – in Scozia un disegno di legge parallelo ha già superato un primo voto: mentre il Parlamento continua a discuterne, il Regno Unito si trova a dover trovare il punto d’equilibrio tra autonomia individuale e protezione dei più deboli.