Suor Gloria Cecilia Narváez è stata liberata il 9 ottobre scorso dopo avere vissuto per quasi cinque anni sequestrata, nelle mani dei qaedisti, nel deserto del Sahara. Un incubo in cui, tuttavia, la fede non l’ha abbandonata. “Pregavo per i miei sequestratori”, ha raccontato in una intervista rilasciata ad Avvenire. La religiosa colombiana non ha mai smesso di affidarsi a Dio nell’attesa della salvezza. “Ero sola, completamente sola. Eppure sapevo di non esserlo, perché era al mio fianco”.
Nel corso dei 1.705 giorni di reclusione in un punto indefinito nel Maghreb la cinquantanovenne ha cercato di cogliere gli aspetti positivi della sua vita. “Mi piaceva molto vedere il sorgere del sole, mi faceva penare alla grandezza di Dio che si manifesta nel Creato”. Non ha mai avuto paura. È stata lei stessa, d’altronde, a consegnarsi nelle mani di Al-Qaeda per evitare la medesima sorte ad una consorella più giovane. Le due, insieme a tante altre, assistevano i bimbi orfani e insegnavano alle donne delle comunità rurali a leggere e scrivere a Karangasso, in Mali.
Suor Gloria, sequestrata per quasi 5 anni: le preghiere per i qaedisti
Suor Gloria Cecilia Narváez, nel corso dell’intervista ad Avvenire, ha ammesso di avere pregato per i suoi sequestratori, a cui a distanza di qualche settimana dalla sua liberazione rivolge un appello. “Chiederei loro di liberare gli ostaggi, perché Dio è il Padre di tutti. Dobbiamo sforzarci di dialogare: solo insieme possiamo costruire una società fraterna”.
La religiosa intanto è tornata in Colombia, sua terra natia, dopo avere incontrato e abbracciato Papa Francesco nel giorno della Messa di apertura del Sinodo sulla Sinodalità a San Pietro. Adesso non sa ancora cosa ne farà del suo futuro. “Sono felice di essere tornata in patria per reincontrare le sorelle della mia comunità e i miei familiari. Mentre ero prigioniera, è morta mia madre Rosita e voglio andare a pregare sulla sua tomba. Poi, se Dio mi darà la salute, continuerò con la mia vocazione di missionaria”, ha detto. Non è da escludere, dunque, che possa tornare in Africa ad aiutare le popolazioni più in difficoltà.