Sylvia Plath, nel corso della sua produzione artistica fu ampiamente ignorata dai critici, almeno fino al suo suicidio. Nel libro La campana di vetro, uscito un mese prima della sua morte, la scrittrice descrisse in maniera quasi autobiografica la vita della protagonista Esther Greenwood, una sorta di suo alter ego. Il libro fu terminato nel 1961, l’anno precedente alla nascita del secondogenito ma gli editori americani inizialmente non si mostrarono affatto interessati all’opera. La prestigiosa casa editrice Knopf definì il romanzo come un libro con “abbastanza talento per essere preso in considerazione” ma continuava ad aspettarsi di più dalla scrittrice. Accettato dalla casa editrice britannica Heinemann, uscì nel 1963 ma sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas, con un’accoglienza tiepidissima – per non dire nulla – da parte della critica. Fu pubblicato negli Usa solo nel 1971. Dopo La Campana di vetro la Plath iniziò a scrivere un nuovo romanzo ma il manoscritto fu trovato solo dopo la sua morte. Sylvia lo definì la continuazione de La campana di vetro e definiva il marito della protagonista un disertore cascamorto. Non si esclude fosse ispirato ancora una volta alla sua vita ed al tradimento del marito Hughes. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
SCRITTRICE SUICIDA, PRIMA A RICEVERE IL PULITZER DOPO LA MORTE
Aveva appena 31 anni ed era nel pieno della sua creatività artistica quando Silvia Plath, poetessa e scrittrice, decise di togliersi la vita suicidandosi. Solo dopo la sua morte il successo travolse il suo nome. Non è un caso se le sue pubblicazioni prima del dramma furono solo due, una appena un mese prima della sua prematura scomparsa. Le altre sue opere, infatti, furono pubblicate solo dopo la morte, compresi i preziosi Diari. Non è un caso se è la prima scrittrice ad aver ricevuto il pregiato premio Pulitzer per le sue poesie solo dopo la morte. L’ultimo guizzo di creatività, Sylvia lo rese noto proprio nella parte finale della sua esistenza, come se fosse già conscia di ciò che avrebbe dovuto dare prima di andarsene per sempre. Un grande talento, il suo, oscurato però dalla sensazione di sentirsi fin troppo imprigionata nella sua vita casalinga, con un marito con il quale ebbe un rapporto a dir poco tormentato. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
TRADOTTA DA AMELIA ROSSELLI: ANCHE LEI SUICIDA 33 ANNI DOPO
La poetessa Sylvia Plath, ricordata oggi dal Doodle di Google, fu tradotta dalla scrittrice e anche lei poetessa Amelia Rosselli. Un destino comune e toccante, quello tra le due donne, dal momento che 33 anni dopo, l’11 febbraio 1996, morì anche lei suicida, esattamente nel medesimo giorno della Plath. La scrittrice americana lamentò spesso la sua grande insoddisfazione nel lavoro. Era la stessa, come rammenta l’agenzia di stampa Ansa, a spiegare in uno scritto alla madre Aurelia: “Ogni mattina, quando il sonnifero smette di fare effetto, sono in piedi verso le 5, nello studio col caffè, e scrivo come una pazza: sono arrivata a una poesia al giorno prima di colazione. Tutte poesie da libro. Roba incredibile, come se la vita della casalinga mi avesse soffocata”. Nonostante questo, mentre era in vita furono pubblicati appena due suoi libri, la raccolta “The Colosses” nel 1960 ed il romanzo (in parte autobiografico) dal titolo “La campana di vetro”, uscito un mese prima del suo suicidio. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
POETESSA SUICIDA, “DISPERATO AMORE DI VIVERE”: FINE DA ROCKSTAR
Nel nome di Sylvia Plath è racchiuso tutto il tormento di una giovane donna e mamma americana che all’età di 31 anni decise di mettere fine alla sua vita ed andarsene come una vera e propria rockstar. Oggi avrebbe compiuto 87 anni e, chissà, forse non sarebbe stata ancora così famosa come lo è diventata solo dopo la sua morte choc. O forse sì, perchè avrebbe potuto realizzare molte più opere, sperando che fosse proprio la sua scrittura a salvarla dalla morte disperata. Ed invece quell’11 febbraio del 1963, Sylvia decise di infilare la testa nel forno a gas, non prima di aver sigillato la porta della cucina, facendo di tutto affinché la tragedia non coinvolgesse anche i suoi due figli, e ponendo fine al suo “disperato amore di vivere”. Un destino che l’accomuna alle attuali rockstar, quello di andarsene da giovane ed all’apice della propria creatività. Il suo grande talento di scrittrice e poetessa infatti si scatenò proprio nell’ultimo anno della sua vita, come se lei stessa sapesse che doveva dare il massimo per restare ben impressa prima di potersene andare per sempre. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
SOPHIA DIAO: “COSÌ HO REALIZZATO IL DOODLE SU DI LEI”
Google ha intervistato Sophia Diao, l’autrice del Doodle oggi dedicato alla scrittrice Sylvia Plath: “Quando ho scoperto la sua esistenza? – racconta Sophia a Big G – penso di averla sempre conosciuta ma la prima volta che ho letto un suo lavoro è stato durante l’estate dopo il mio primo anno di college. Ammiro quanto fosse laboriosa. Quasi ogni giorni scriveva – prosegue – pur essendo una casalinga e una madre, organizzando le sue finanze e quelle di suo marito e facendo domande per borse di studio”. Quindi l’illustratrice spiega come è giunta alla realizzazione del Doodle odierno: “Sono partita mettendo in ordine le sue antologie di poesie e leggendole. Dopo ho cercato di trovare dei passaggi specifici del suo lavoro che si sarebbero intrecciati in una pseudo-narrativa e alla fine ho fatto su un’illustrazione che avrebbe reso onore al mood di Sylvia”. Quindi Sophia chiude così la sua intervista: “Spero che con questo Doodle le persone vengano spinte a leggere alcune delle opere di Plath, per imparare qualcosa di più su di lei”. (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
I DUE FILM SULLA VITA DI SYLVIA PLATH
Una vita drammatica e senza dubbio non comune quella vissuta dalla poetessa Sylvia Plath, al punto che anche il mondo del cinema ha voluto dedicarle ampio spazio. Sono infatti due i film che si sono ispirati all’angoscia della poetessa americana morta all’età di soli 31 anni, a cominciare da “Nella vita di Sylvia Plath”. Si tratta di un prodotto cinematografico totalmente italiano, realizzato per la televisione nel 1980. Il film è stato diretto dal regista Alessandro Cane (che ha diretto fra le altre anche le serie tv Incantesimo e Carabinieri), con Sylvia era interpretata da Carla Gravina, attrice italiana riconosciuta a livello internazionale grazie ai numerosi premi ottenuti in carriera. La seconda opera cinematografica dedicata alla Plath è stata realizzata nel 2003 dal titolo semplicemente di “Sylvia”, in cui si narra della tormentata storia d’amore fra la giovane scrittrice e l’ex marito Ted Hughes. Nel film gli attori protagonisti sono Gwyneth Paltrow (Sylvia) e Daniel Craig (famoso soprattutto per 007, che interpretava Ted). (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
SYLVIA PLATH E IL SUICIDIO: ECCO COME ANDO’
Mandò a letto i suoi due figli, preparò loro la colazione per il giorno seguente, (latte e pane con burro), scrisse Orlo, e poi si uccise. Questi gli ultimi attimi di vita di Sylvia Plath, una delle anime più tormentate non soltanto del mondo della prosa, una persona fragile a causa di eventi drammatici che segnarono inesorabilmente la sua esistenza fino al tracollo definitivo. La giovane Plath è famosa per le sue opere ma anche per il suo rapporto viscerale, quasi morboso, con l’ex marito, il poeta Ted Hughes, che lei chiamava affettuosamente Teddy-ponk. I due si scrivevano ogni giorno e il Telegraph ha riportato alcuni passaggi della loro corrispondenza: “Mi manchi come l’inferno – scriveva Sylvia – non posso sopportare di stare con persone che non sono te”, e ancora: “Grazie a una qualche mistica unione siamo diventati una sola carne; Sono solo malata, fisicamente malata, senza di te. Piango; poso la testa sul pavimento; soffoco, odio mangiare; odio dormire, o andare a letto… Vivo in una sorta di morte in vita…”. Il rapporto fra i due ad un certo punto si ruppe, non si sa se perché Ted decise di amare un’altra donna, o, stando alla versione fornita dal Guardian, perché lo stesso poeta aveva iniziato a mostrarsi violento nei confronti della moglie, al punto che stando al tabloid britannico Ted avrebbe picchiato Sylvia due giorni prima dell’interruzione di gravidanza, ponendo l’episodio dell’aborto sotto un’altra luce. Ma torniamo alla notte dell’11 febbraio del 1963, quando Sylvia decise di farla finita: dopo aver mandato a letto i bimbi e preparato loro la colazione, sigillò la cucina con il nostro adesivo e infilò la testa nel forno. Una morte che ancora oggi lascia qualche dubbio, visto che, anche in questo caso, sono emerse teorie differenti negli ultimi tempi, a cominciare dal fatto che forse la Plath volesse solo essere salvata. Aveva infatti lasciato un biglietto con il numero del medico, sapendo che quella mattina sarebbe passata a casa una ragazza: non lo sapremo mai… (aggiornamento di Davide Giancristofaro)
LA STORIA DI SYLVIA PLATH, ANIMA TORMENTATA E FRAGILE
Sylvia Plath avrebbe compiuto 87 anni proprio oggi. E chissà, forse, se fosse arrivata alla tarda età, avrebbe trovato quell’equilibrio che, in una vita consumata in soli 31 anni, come la favilla di un fuoco, le è sempre mancato. Sylvia Plath è, se vogliamo ricondurre una esistenza così potente alla banalità di poche parole che la definiscano, una poetessa. La poetessa che più di tutte ha contribuito alla poesia confessionale, tanto Sylvia Plath aveva un rapporto cosi intimo con la scrittura. Un rapporto che purtroppo, però, la consumò presto e avvampando come se si fosse avvicinata troppo a quel fuoco sacro che si deve contemplare forse solo da lontano. La poesia per Sylvia Plath era tutto, nel senso più intimo del termine, tanto che legò la sua vita a quella di un altro poeta londinese, Ted Hughes, con quella intensità drammatica così tipica delle anime sensibili, che finiscono per ingigantire tutto sotto la lente del proprio sentire. Benchè breve, la vita di Sylvia Plath è stata segnata da molti episodi dolorosi e mai del tutto interiorizzati, anche per colpa, forse, di questa sua estrema sensibilità. Tanto che a un certo punto, ed è quasi possibile vederne i sintomi, qualcosa in Sylvia Plath si spezzò. Arrivando a un punto di non ritorno, quando dopo un aborto (evento che la segnò terribilmente, come segna profondamente ogni donna) i rapporti con il marito Ted Hughes si incrinarono del tutto. Ma la dipendenza totale da lui, quando decise di dare uno strappo alla sua esistenza, ebbe tragicamente la meglio, spingendola con un ultimo decisivo colpo, verso la depressione e la follia. A cui comunque il suo animo era già evidentemente incline fin dalla prima infanzia. E così, quella che nel suo diario poteva essere letta come il “manifesto” di una nuova vita, suona come il primo segno del declino di Sylvia Plath. Che non fu mai in grado di attuare questo proposito, nella profondità del suo inconscio, prima ancora che nella pratica quotidiana della sua vita. “Cara Mamma, ti scrivo da Londra. Felice che posso infine parlarti, finalmente ho trovato un appartamento e ti devo dire che un mio ritorno in America è fuori questione. Non devo ritornare nell’utero materno, se cominciassi a scappare adesso non mi fermerei mai più. Per tutta la vita il successo e il genio di Ted mi inseguirebbero, so esattamente cosa voglio. Devo costruirmi una vita tutta da sola e più presto che posso. Non potevo andare avanti a vivere la vita di degradazione e di agonia che ho vissuto nell’ultimo periodo e che mi ha impedito di scrivere e che mi ha rovinato il sonno e la salute, non posso continuare a vivere come una martire, voglio il divorzio. I miei bambini, e le mie poesie, saranno la mia vita”.
SYLVIA PLATH E IL RAPPORTO MALATO CON TED HUGHES
Il rapporto con il marito Ted Hughes fu talmente indissolubile per Sylvia Plath che perfino dopo la morte non è possibile spezzarlo. Perchè fu il marito a curare le edizioni dei suoi scritti postumi che valsero a Sylvia Plath addirittura il premio Pulitzer, e che soprattutto c’è il sospetto che abbia distrutto e censurato in parti fondamentali parecchi tra i suoi scritti. Sta di fatto, che Sylvia Plath maturò il proposito di suicidarsi proprio durante le pratiche di separazione dal marito. Ma anche qui, in un modo che sembrava più un disperato grido di aiuto che non l’intento determinato e definitivo di porre fine alla propria esistenza. Sylvia Plath, già 10 anni prima aveva tentato il suicidio, e descrisse questa crisi nel libro quasi autobiografico “La campana di vetro”. Depressa e oppressa da una infanzia e adolescenza con cui riteneva di dover tagliare i ponti e assunse una boccetta di sonniferi della madre. La salvarono e venne ricoverata, ed al seguito di questo le fu diagnosticato un disturbo bipolare. “Ho visto la morte, ma ho superato la prova, il mio corpo ha reagito”. Da li in poi in pochissimo tempo si laurea con lode e ottiene una borsa di studio a Cambridge dove continuò a scrivere poesie. Anche per questo, si ipotizzò che forse, quel secondo tragico tentativo di suicidio fosse – inconsciamente o meno – il tentativo di chiudere con un altro pezzo della sua vita, come Sylvia Plath aveva fatto 10 anni prima: faccia a faccia con la morte. Ma per una rinascita. Dagli ultimi documenti sulla sua morte e sull’ultimo periodo di vita, però, il quadro che emerge sulla situazione familiare di Sylvia Plath è sempre più simile a quello di tante tante donne che vengono sistematicamente represse, maltrattate, dominate e distrutte da un marito evidentemente frustrato e in competizione umana e letteraria con lei. Una storia di abusi anche fisici, un amore malato quindi, come si potrebbe definire, che ha chiuso ogni speranza a un soggetto psicologicamente fragile come Sylvia Plath. E nonostante fosse una donna affermata sia, Sylvia Plath era stata troppo sola in questo rapporto che l’ha divorata. E le ha di fatto tenuto la testa nel forno, in quel giorno di Febbraio del 1963.