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Home » Esteri » Cina » TAIWAN/ “Ecco perché Pechino alza la tensione ma non può permettersi la guerra”

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TAIWAN/ “Ecco perché Pechino alza la tensione ma non può permettersi la guerra”

La Cina Popolare vuole riprendersi Taiwan: minaccia una guerra, ma non può permettersela. Troppe controindicazioni. E la sua flotta navale ha una carenza

Int. Giuseppe Morabito
Pubblicato 29 Maggio 2025 - Aggiornato 30 Maggio 2025 ore 13:00
Il presidente della Cina Xi Jinping

Il presidente cinese Xi Jinping passa in rassegna truppe dell'esercito (Ansa)

Se volesse, la Cina Popolare avrebbe la possibilità di attaccare Taiwan quando vuole. Così farebbero pensare, almeno, alcune indiscrezioni uscite sulla stampa internazionale, secondo le quali Pechino avrebbe messo a punto la sua macchina militare, accrescendo le sue competenze a tal punto da poter ormai procedere alla riunificazione forzata con l’isola di Taipei.


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In realtà, osserva Giuseppe Morabito, generale dell’esercito, fondatore dell’IGSDA e membro del collegio dei direttori della NATO Defense College Foundation, ci sono una serie di elementi che continuano a rendere improbabile, almeno per il momento, un attacco.

Ci sarebbero troppe controindicazioni a un’azione militare, la prima delle quali riguarda la mancanza di un numero sufficiente di portaerei da parte cinese: Xi Jinping preferirebbe allora continuare a esercitare pressioni su Taiwan, cercando di convincerla a riavvicinarsi alla Cina Popolare senza che si debba ricorrere a un conflitto. Un attacco metterebbe in crisi l’economia mondiale, dipendente dai microchip taiwanesi, e causerebbe gravi danni anche a quella cinese.


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I cinesi sarebbero pronti a lanciare un attacco improvviso a Taiwan. Così ipotizza, almeno, il Financial Times, citando analisti americani e taiwanesi. C’è un pericolo imminente?

La Cina Popolare sta aumentando la capacità delle sue forze armate. Per quanto riguarda l’esercito, può già vantare più di 1,6 milioni di soldati. Però la Marina ha solamente una portaerei; in questo campo non regge il confronto con gli USA, che ne hanno 12. Per questo è difficile che possa portare un attacco via mare, anche perché non sono note le capacità di utilizzo dei mezzi a disposizione: stiamo parlando di forze che non sono mai state impegnate in operazioni militari, che non hanno esperienza.


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Pechino può colmare il gap della flotta navale?

Ha la capacità industriale per farlo, anche se ci vorrà molto tempo. Una volta realizzate altre portaerei, comunque, bisogna aver il know-how per utilizzarle, la capacità specifica di usarle in un determinato specchio di mare o di oceano. La Cina Popolare ha il più grande esercito del mondo, una grande capacità missilistica e di droni, ma, dal punto di vista navale, pur avendo grande disponibilità di mezzi, per le portaerei si ferma a una unità.

Come mai, allora, i media internazionali hanno lanciato l’allarme dicendo che sono aumentate le probabilità di un attacco?

La Cina Popolare ha diramato un avviso di navigazione in occasione di un’esercitazione che si è svolta nello stretto di Taiwan fra il 20 e il 22 maggio, proprio nei giorni in cui si è celebrato il primo anno di mandato del presidente taiwanese Lai Ching-te. In realtà, per Pechino la soluzione migliore sarebbe piegare la resistenza di Taipei, convincendo il Paese a rinunciare alla peraltro mai dichiarata indipendenza: Taiwan è fondamentale per la produzione dei semiconduttori, tanto che una crisi in quest’area potrebbe portare l’economia mondiale a soffrire una riduzione delle capacità industriali nell’ordine del 5-10%. Se Xi Jinping dovesse usare il suo importante sistema missilistico per attaccare, rischierebbe di distruggere gran parte dell’isola e le sue infrastrutture, ivi comprese anche le fabbriche di microchip, creando un danno anche al sistema economico cinese, che dipende in parte da questa produzione.

L’opzione militare, per questo, rimarrà sulla carta?

I cinesi vogliono che la popolazione di Taiwan si convinca della necessità della riunificazione senza che ci sia bisogno di combattere. Già nella Seconda guerra mondiale, d’altra parte, gli americani decisero di sbarcare a Okinawa e non a Taiwan, perché era più difficile trovare zone di approdo a partire dalle quali penetrare in profondità nel territorio. A Taiwan, insomma, non ci sono molte aree adatte a uno sbarco: lo sanno i cinesi di Pechino e anche i taiwanesi, che proprio in quelle zone concentrerebbero le loro difese, rendendo molto difficile la vita all’invasore. Inoltre, in caso di attacco mancherebbe il fattore sorpresa: per trasportare le truppe a partire dalle coste cinesi bisogna attraversare lo stretto di Taiwan, si saprebbe subito dell’operazione in corso e ci sarebbe il tempo per attivare gli alleati di Taipei: oltre agli USA, Sud Corea, Giappone e Australia.

Le notizie uscite su FT e su altri media potrebbero far parte delle pressioni per ottenere una soluzione senza arrivare a una guerra?

Certo. Non è casuale che si cerchi di alzare la tensione proprio in occasione del primo anniversario della presidenza Lai. Pechino può aver aumentato effettivamente le sue capacità operative, ma, per tutti i motivi elencati prima, uno sbarco non si può improvvisare: sarebbe un’operazione molto complessa e altrettanto impegnativa.

Dagli americani che segnali arrivano? Sarebbero comunque disposti a intervenire in aiuto di Taiwan?

Al momento questa non è la prima preoccupazione di Trump: l’interesse principale è rivolto a quello che sta avvenendo in Medio Oriente e in Ucraina. C’è, comunque, un accordo per sostenere Taiwan, mentre dall’altra parte c’è il desiderio della Cina Popolare di controllare lo stretto, dal quale passa una quota consistente del commercio mondiale. L’importante, dal punto di vista americano, è che Taiwan non cada il più a lungo possibile nelle provocazioni militari e che la situazione resti ancorata allo “status quo”.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Donald TrumpXi Jinping

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