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Home » Economia e Finanza » Fisco » Tasse » TASSE E POLITICA/ L’equità dimenticata anche dalla “nuova” Irpef

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TASSE E POLITICA/ L’equità dimenticata anche dalla “nuova” Irpef

Ciro Acampora
Pubblicato 9 Dicembre 2021
Il presidente del Consiglio Mario Draghi (a destra) con Daniele Franco, ministro dell'Economia (LaPresse)

Il presidente del Consiglio Mario Draghi (a destra) con Daniele Franco, ministro dell'Economia (LaPresse)

La riforma dell'Irpef varata dal Governo appare solo come una redistribuzione di 8 miliardi che non dà il giusto peso all'equità

Lo scorso venerdì il Consiglio dei Ministri ha varato la “nuova” Irpef. Il varo è la conseguenza del lavoro di completamento che ha portato all’individuazione delle detrazioni e degli sconti che consentiranno la determinazione dell’imposta che poi concretamente si pagherà. Non è un lavoro definitivo poiché il passaggio parlamentare potrebbe presentare delle sorprese prima di rendere definitiva la nuova curva Irpef. Gli effetti del nuovo sistema andranno poi valutati allorquando si avrà chiaro il nuovo disegno delle detrazioni per carichi di famiglia che verrà sostituito dall’assegno unico. 


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A oggi, dunque, comprendere cosa accadrà all’Irpef e i risparmi annunciati rappresenta ancora un esercizio complesso. Allo stato le elaborazioni possibili mostrano una riduzione dell’imposta che va dai 944 euro annui per i redditi da 40 mila euro in poi che scendono a 90 euro annui per i redditi dai 75 mila euro in su. È stato sottolineato che la riduzione dell’Irpef per alcune fasce di reddito comprese tra i 28 e i 30 mila euro non appare in linea con quelle delle fasce più alte. Questa considerazione è solo parzialmente esatta perché dimentica che tali fasce di reddito hanno già beneficiato la doppia tornata di bonus avviata dal Governo Renzi e proseguita in perfetta continuità dal Conte-2/Gualtieri. 


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Proseguendo nella cronaca di questi giorni è noto il clamore che ha accompagnato il tentativo mancato di introdurre un contributo di solidarietà per i redditi superiori ai 75 mila euro che “avrebbe” consentito di intervenire, nelle intenzioni di chi lo ha proposto, in favore di coloro che soffrono per il caro bollette. Il tentativo è stato sostenuto, da chi lo proponeva, come un sacrificio “temporaneo” per i redditi alti che si sarebbero visti sospesi per un paio di anni la riduzione Irpef e da chi invece lo considera un “momento” di equità. Secondo la sottosegretaria Guerra, la bocciatura del contributo solidarietà è stato un errore avendo dichiarato: “Io non vedo proprio la necessità di ridurre le imposte ai redditi alti, non credo ne abbiano bisogno”.


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Questa conclusione, al pari delle altre che hanno bloccato l’introduzione del contributo pro bollette, rende evidente una considerazione. Malgrado la larga maggioranza politica pare non ci sia alcuna intenzione di introdurre principi di equità nel sistema. A due anni quasi dall’avvio della pandemia si continua su un percorso ideologico che vede “posizionare” i lavoratori autonomi e quelli dipendenti su fronti contrapposti. Le distanze non si sono ridotte neanche ora che sono state evidenti le incertezze che caratterizzano il lavoro autonomo. Ci si è rapidamente dimenticati delle difficoltà che si sono palesate in tutta la loro forza allorquando il lockdown ha costretto molte attività economiche a stare chiuse per lunghi periodi. 

I ristori varati dai Governi Conte prima e Draghi poi non hanno, per motivi diversi, mitigato gli effetti negativi per i lavoratori autonomi. Il risparmio è cresciuto in quelle categorie che non hanno potuto spendere causa dei lockdown ed è diminuito per coloro che non hanno potuto lavorare e hanno dovuto attingere al risparmio accumulato negli anni precedenti. I primi sono in larga parte i lavoratori dipendenti, i secondi i lavoratori autonomi che non hanno potuto lavorare perché costretti a casa e i dipendenti del settore privato espulsi dal mercato del lavoro malgrado il blocco dei licenziamenti.

La riforma fiscale da farsi non dovrà limitarsi a una revisione della curva Irpef e a maggior ragione non può limitarsi a una riduzione del numero delle aliquote. Quella attuata si configura sempre più solo come una redistribuzione di 8 miliardi in qualche modo resisi disponibili. La riforma fiscale deve passare attraverso l’introduzione di strumenti più radicali che dovranno disegnare il futuro del nostro Paese che non cresce in termini di produttività, in termini di popolazione visto il calo delle natalità e che ha profonde iniquità.

Per poterlo fare occorre aver ben presente che i valori da considerare non sono solo quelli assoluti del reddito ma anche altri. Bisogna affrontare il vero tema dell’equità, il ruolo delle famiglie e quello dei giovani. Per potere seguire una strada coerente con una riforma fiscale occorre aver ben presente l’attuale sistema. Ad esempio, se in una famiglia vi sono due redditi da 35 mila euro questi pagano una Irpef che passerà da 7.935,56 a 7.847 euro per un totale, dal prossimo anno, di euro 15.694, mentre se nella stessa famiglia vi è un unico reddito da 70 mila questa pagherà una Irpef pari a euro 23.000 rispetto agli attuali 23.370. Senza andare oltre appare evidente che il reddito disponibile della prima famiglia è superiore a quello della seconda così come diverso è il grado di incertezza che accompagna la famiglia monoreddito e questo anche senza tener conto della tipologia di lavoro. 

Stanti così le cose è ancora accettabile l’affermazione secondo cui non si ravvede la necessità di ridurre, guardando solo a valori assoluti, le tasse ai presunti ricchi ovvero a coloro che guadagnano oltre i 70 mila euro?

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Tags: Giuseppe ConteMario Draghi

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