Il Cremlino lo ha definito un “colloquio franco e dettagliato”, la Casa Bianca una “telefonata produttiva”. Il colloquio a distanza tra Putin e Trump, durato circa due ore e mezza, segna una svolta nei rapporti tra USA e Russia. I leader hanno concordato su una roadmap per una “pace durevole”, all’insegna di accordi economici di ampio respiro.
Putin ha ribadito “l’impegno per la risoluzione pacifica del conflitto”, secondo Mosca, e Trump ha espresso la volontà di lavorare rapidamente per “un cessate il fuoco completo”. Il primo step prevede una sospensione, della durata di 30 giorni, degli attacchi alle infrastrutture energetiche.
Al termine, tuttavia, Zelensky ha dichiarato che le condizioni poste da Putin dimostrano che “non è pronto a porre fine alla guerra”, mentre Scholz e Macron hanno annunciato che continueranno a fornire armi a Kiev.
Per Maurizio Boni, generale di Corpo d’armata e opinionista di Analisi Difesa, la vera incognita non è tra i negoziatori: “è l’UE il grande punto interrogativo”, perché ha assunto una postura ostinatamente contraria al negoziato Trump-Putin e i rapporti tra Washington e Bruxelles si sono deteriorati ancor di più. L’Europa non vuole accettare che nelle guerre le condizioni le pongono i vincitori, non i vinti. E questo è molto pericoloso”.
Generale Boni, l’incontro telefonico c’è stato. Ed è durato a lungo.
Il confronto dei rispettivi team, composti da persone di alto profilo che sicuramente rappresentano gli interessi dei due interlocutori, ha creato le condizioni perché Trump e Putin si parlassero. Come sempre in questi casi, la telefonata è avvenuta sulla base di un’agenda concordata.
Vediamo i principali punti. Lo scambio di 175 prigionieri per parte?
Fa normalmente parte di ogni accordo. È significativo il fatto che i prigionieri siano ucraini mentre l’Ucraina è fuori dal negoziato. C’è da aspettarsi che vi sia reciprocità.
La sospensione per 30 giorni degli attacchi alle infrastrutture energetiche?
Anche questa dovrebbe essere reciproca e ha un suo senso: quello di non degradare ulteriormente la rete delle infrastrutture critiche in Ucraina. Sono quelle che dovranno consentire la ripartenza del Paese dopo la fine del conflitto. E sappiamo che le risorse dell’Ucraina sono state ampiamente ipotecate da Stati Uniti e Gran Bretagna.
E dal lato russo?
La Russia pretende di non essere colpita sul proprio territorio, anche se molti degli attacchi vengono intercettati. È una misura importante per Mosca sul piano del consenso politico.
Questi punti si possono considerare uno sviluppo del tavolo americano-ucraino di Jeddah?
No. Quel cessate il fuoco i russi lo hanno rifiutato. Il tema avrà sicuramente fatto parte del negoziato e della telefonata, ma non trova riscontro nei contenuti comunicati all’esterno.
Perché, secondo lei?
Sono stati gli inglesi a scrivere il draft di Jeddah. Come avevamo previsto, era un punto inaccettabile per Mosca. Il cessate il fuoco completo è una questione molto sensibile, a mio avviso le parti vi stanno ancora lavorando.
La cessazione completa della fornitura di armi americane a Kiev e del supporto di intelligence?
È una richiesta più volte ribadita da Mosca. Se Trump l’ha accettata, occorrerà vedere come viene accolta dall’Ucraina.
Uno dei punti dell’accordo riguarderebbe però un cessate il fuoco marittimo nel Mar Nero.
Questo è un elemento di grande interesse. Sicurezza di navigazione nel Mar Nero vuol dire anche sicurezza dei porti in Crimea, da dove i russi si sono dovuti ritirare a causa delle operazioni navali di Kiev. Il confronto sul Mar Nero potrebbe essere la spia di qualcosa di molto più importante, ovvero lo status giuridico della Crimea, che gli americani potrebbero riconoscere come territorio russo.
Non è chiaro in che misura nella telefonata si sia parlato di territori.
Se ne è parlato di sicuro. Territori vuol dire concessioni, quelle concessioni che tutti gli uomini-chiave di Trump, ancor prima che Trump fosse eletto, hanno sempre detto che sarebbero state sul tavolo. La reticenza sui quattro oblast annessi dai russi e sulla Crimea è dovuta al fatto che ogni possibile esposizione su questo punto è prematura. E che si sta ancora trattando.
Mosca non vuole cederli, ma è altrettanto vero che non sono interamente occupati.
È una questione dirimente e di sicuro è sul tavolo, ma non dovremmo dimenticare che la Russia sta vincendo la guerra. Nel Kursk la situazione dell’esercito ucraino è disperata e tutte le linee di rifornimento e ritirata sono sotto il fuoco russo. Non solo. In primavera e in estate potremmo assistere ad iniziative militari importanti su tutta la lunghezza del fronte. È difficile che Putin si voglia fermare dove è adesso, proprio perché mancherebbe, come lei osserva, una parte significativa di territori filorussi.
Ci sta dicendo che mentre Putin e Trump dicono di volere “un cessate il fuoco completo e una pace permanente”, la guerra andrà avanti?
Non ci deve sorprendere. In Corea ci sono voluti più di 570 meeting prima di concludere la guerra, che dall’inizio delle trattative è andata avanti per un altro anno e mezzo con migliaia di morti. Ovviamente mi auguro che non sia così.
Toccherà all’amministrazione USA l’interlocuzione con Kiev. Trump riuscirà a far ragionare Zelensky?
Se non riuscirà a farlo ragionare, dovrà imporgli le condizioni. Qui si apre il problema del ruolo dell’Europa.
Scholz e Macron hanno detto che Germania e Francia continueranno a fornire aiuti militari a Kiev, Starmer intende andare avanti con la missione dei “volenterosi”.
L’UE è il grande punto interrogativo. Se gli Stati Uniti accettano di non inviare più aiuti militari a Kiev e al posto loro lo fa l’Europa, Bruxelles si pone in netta contrapposizione con gli USA. Lo stesso vale per la coalizione dei “volenterosi” voluta da Starmer: una iniziativa ostile ai negoziati e un attentato alla sicurezza di Mosca, una minaccia “esistenziale”, come più volte dichiarato dal Cremlino.
Alla luce di queste considerazioni, qual è il suo scenario?
Occorre vedere in quale misura Trump è in grado di addomesticare la posizione inglese. La vedo dura, ma può farlo solo lui. Quanto all’Europa, i rapporti tra Bruxelles e Washington si sono ulteriormente deteriorati da quando in febbraio Kaja Kallas ha giudicato il piano di pace di Trump “un affare sporco”. Senza accorgersi, o forse sapendolo benissimo, che non parlava per il governo di Tallinn ma per tutta l’Unione Europea. Se prima Trump considerava gli europei irrilevanti, adesso, oltre a detestare Bruxelles, sarà convinto che l’UE rappresenta solo un problema.
Ha ragione?
Quella dell’UE è una politica meramente reattiva. Il colmo è che a tirare le fila del discorso e a guidare militarmente l’Unione Europea è il capo di governo di un Paese che non ne fa più parte. Ma a ben vedere, alla fine il problema è uno solo.
Quale?
Nelle guerre le condizioni le pongono i vincitori, non i vinti. Ed è la Russia a dettare le condizioni, perché sta vincendo. Che piaccia o no, i russi in questo momento hanno tutte le carte in mano, lo ha detto lo stesso Trump. Solo che in Europa non vogliamo accettarlo, perché siamo accecati dall’idea di sconfiggere la Russia. Ed è una follia.
(Federico Ferraù)
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