Ora tutti attendono l’incontro fra Donald Trump e Zelensky, mentre nella giornata di ieri è stato lo stesso presidente americano a rivelare di avere avuto un colloquio telefonico con il leader russo. “Vuole vedere la gente smettere di morire”, ha detto Trump.
Ma le incognite sull’eventuale partenza ufficiale delle trattative per la guerra in Ucraina, osserva Maurizio Boni, generale di Corpo d’Armata e opinionista di Analisi Difesa, sono ancora molte. Prima di tutto, non si capisce quale potrebbe essere la reazione di Trump se il capo del Cremlino dicesse di no al suo piano, tanto è vero che da parte americana si parla della necessità di trovare una soluzione, ma anche della possibilità che gli Stati Uniti aumentino notevolmente le sanzioni su Mosca.
Infine, c’è l’incognita Zelensky: secondo diverse fonti, non parteciperebbe al negoziato, anzi, il presidente americano starebbe preparando l’uscita di scena del suo omologo ucraino.
Trump dovrebbe incontrare Zelensky a Washington questa settimana, mentre ieri ha parlato con Putin: siamo a una svolta?
È decisamente prematuro dirlo, perché con Trump il fattore imprevedibilità è sempre presente. Inoltre, non sappiamo esattamente che cosa dirà Zelensky. La stampa inglese ha già pubblicato addirittura quello che potrebbe essere il piano di pace di Trump: forza di interposizione occidentale a guida inglese, neutralità dell’Ucraina, riconoscimento dei territori occupati. Sono tutti concetti noti, che hanno suscitato qualche perplessità da parte russa: bisognerebbe capire realmente, al di là delle dichiarazioni, quello che stanno preparando gli addetti ai lavori, sia russi che americani. Ciò che viene riportato sulla stampa non basta.
Trump partirà dal suo piano e le osservazioni che Putin ha fatto trapelare sulla sua proposta, uscite sui media, vorrà sentirle direttamente dalla voce del presidente russo?
Certo. Il grosso punto interrogativo è che cosa accade se Putin, oltre le dichiarazioni sulla necessità di chiudere il conflitto emerse in queste ore, rifiuta l’approccio di Trump. L’unico elemento di novità emerso nel frattempo è la richiesta di Trump all’Ucraina di accesso alle risorse naturali pregiate ancora presenti sul suo territorio, nella parte non occupata dai russi, che di fatto si sono già impossessati militarmente delle aree dove sono presenti ingentissime risorse.
Zelensky, tuttavia, ha dichiarato che l’80% delle risorse minerali è ancora in mano all’Ucraina.
È vero assolutamente il contrario: la maggior parte delle risorse pregiate è ormai nei territori occupati. I più grossi giacimenti sono nel Donbass e nel Donetsk. Una delle ultime città che sono state conquistate dai russi è in uno dei territori più ricchi di minerali rari, in particolare il litio. Con questa conquista territoriale, Mosca ha privato l’Ucraina e l’Europa di giacimenti che quest’ultima aveva sperato di sfruttare per il Green Deal, per alimentare l’industria delle auto elettriche.
Le sue terre rare Zelensky le sta offrendo non solo agli americani, ma anche agli altri alleati, ai quali chiede di investire in Ucraina. Come mai?
È diventata l’arma della disperazione. Offre ciò che è rimasto del proprio territorio a chiunque possa aiutarlo ad alzare la posta nei negoziati. Praticamente sta svendendo l’Ucraina. Alcuni parlamentari lo hanno accusato proprio di questo, è un segnale molto importante delle acque agitate in cui naviga la politica ucraina.
Il presidente ucraino vorrebbe anche concludere contratti per rifornire l’Ucraina di gas naturale liquido per farla diventare un hub per tutta l’Europa. Il senso di questa mossa?
La dice lunga sulla situazione drammatica dell’Ucraina. C’erano già stati investimenti delle corporations americane nei giacimenti che poi sono stati occupati: avevano investito pesantemente, ottenendo concessioni per estrarre il petrolio da scisti bituminose, di cui quei territori sono ricchi. Ora quelle aree sono sotto il controllo russo. Un aspetto poco conosciuto, ma molto indicativo dello stato in cui si trova l’Ucraina.
L’inviato speciale di Trump per l’Ucraina, Keith Kellogg, dice che il presidente americano sarebbe disposto anche a raddoppiare le sanzioni per convincere Putin. Che segnale è?
Torniamo al punto di partenza: che cosa accade se i negoziati non vanno secondo quello che ha previsto Trump? La Russia, a questo punto, ha un interesse relativo a concludere la guerra nei termini resi noti finora: bisogna capire cosa accadrà se non si trova un compromesso. Per quanto riguarda le sanzioni USA nei confronti della Russia, è rimasto ben poco da inasprire.
L’uscita di Kellogg è un po’ un bluff?
No. Per il momento, sono dichiarazioni che servono più o meno a creare le condizioni entro cui iniziare il negoziato. Gli USA, tuttavia, non stanno partendo col piede giusto: non possono mandare messaggi contraddittori in continuazione, dire di voler chiudere il conflitto, ma anche di essere pronti a inasprire le sanzioni o a un’escalation. Molto, comunque, dipende dalla personalità di Trump.
Quando si comincerà a capire qualcosa su come si può sviluppare la trattativa?
Sembra che alla Conferenza di Monaco (14-16 febbraio, nda) potremo avere qualche elemento in più. Kellogg ha dichiarato che proprio lì spiegherà agli alleati il piano.
Intanto, la scadenza per arrivare a un accordo è stata fissata a Pasqua. C’è un motivo per cui si è scelto questo momento?
Pasqua quest’anno è alta, arriva ad aprile, a inizio primavera: c’è la consapevolezza che, oltre questo termine, l’Ucraina difficilmente riuscirà ad andare, che non riesca a reggere un’altra offensiva.
In questo caso, il coltello dalla parte del manico, tuttavia, ce l’ha la Russia?
Non c’è alcun dubbio. Sono i russi che potrebbero avere vantaggio da questa circostanza. È talmente evidente che chi lo nega non può che essere in malafede. I negoziati, comunque, potrebbero anche avvenire senza Zelensky. Le fonti che mettono in evidenza questo elemento sono sempre russe, però ci sono conferme anche in campo occidentale. Ritorna la considerazione che non si possa parlare di un piano di pace con l’attuale presidente ucraino. Credo che Zelensky sia in uscita e Trump stia preparando il terreno per farlo uscire.
(Paolo Rossetti)
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