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Home » Educazione » Maturità » Prove maturità » Prima prova maturità » Telmo Pievani, traccia svolta Tipologia B3 Maturità 2025/ Un quarto d’ora geologica di celebrità, Prima Prova

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Telmo Pievani, traccia svolta Tipologia B3 Maturità 2025/ Un quarto d’ora geologica di celebrità, Prima Prova

Paolo Fracasso
Pubblicato 18 Giugno 2025
Un mondo diviso tra biosfera e tecnosfera (Foto: ChatGPT)

Un mondo diviso tra biosfera e tecnosfera (Foto: ChatGPT)

Maturità 2025, traccia svolta B3: lo svolgimento del Testo argomentativo di Telmo Pievani intitolato “Un quarto d’ora geologica di celebrità"

Prima Prova della Maturità 2025: ecco qui di seguito la traccia svolta per il Testo argomentativo B3, il brano del filosofo Telmo Pievani intitolato “Un quarto d’ora geologica di celebrità”; mentre qui trovate la diretta live dell’Esame di Maturità su “IlSussidiario.net” in cui potete recuperare tutte le altre tracce svolte della prima prova


SCUOLA/ “La strana ‘maturità’ di un sistema che preferisce il welfare agli studenti”


Comprensione e analisi

Nel brano proposto, Telmo Pievani illustra come, nell’Antropocene, l’era geologica dove l’impatto dell’azione umana è diventato imprescindibile per la comprensione del mondo sia a livello micro che macro, la produzione materiale permessa dallo sviluppo delle tecnologie e delle tecniche abbia portato a un aumento vertiginoso della massa dei “manufatti umani”.


Maturità 2025, correzione prima e seconda prova/ Quando escono i risultati prove scritte e dove consultarli


Mentre agli albori del XX secolo questi valevano il 3% rispetto alla biomassa (“la massa complessiva degli esseri viventi della Terra”), al 2020 il rapporto è arrivato a essere 1:1, ovvero, davanti a 1,1 teratonnellate (millecento miliardi di tonnellate) di massa vivente, siamo riusciti a produrre 1,1 teratonnellate di oggetti, dagli aerei ai fogli di carta.

In conclusione, l’autore evidenzia come, senza una “rapida transizione del sistema economico mondiale verso modelli circolari”, la situazione, nell’arco di soli vent’anni, sfuggirà al nostro controllo.


Prima prova Maturità 2025: 40% degli studenti ha scelto la traccia sul rispetto/ I dati: "Gattopardo ultimo"


Con “vicolo cieco in cui ci siamo infilati”, Pievani intende evidenziare come l’attuale crescita fuori controllo sia una strada senza vie d’uscita, essendo insopportabile una produzione infinita in un sistema dalle risorse finite. Con questa metafora, l’autore vuole spingere il lettore alla consapevolezza che, senza un immediato cambio di rotta, ci troveremo davanti a un muro insormontabile, magari avendo percorso ormai troppa strada per tornare indietro.

L’autore, per descrivere l’insieme della tecnosfera materiale, fornisce numerosi esempi: “tutti gli edifici sulla Terra, tutte le strade, treni, aerei, auto, navi, camion, moto, biciclette e ogni altro mezzo di trasporto, le fabbriche, le macchine, […] le suppellettili e gli arredi, gli strumenti, i telefonini, i computer, le stoviglie, i vetri, gli infissi, la carta di questa rivista”.

L’elenco, ricco ma necessariamente parziale, tramite l’accostamento di oggetti comuni (ai quali tutti potrebbero pensare immediatamente, come auto, strade e palazzi) e oggetti più insignificanti (come le stoviglie e gli infissi), vuole far intendere al lettore come ogni oggetto, dal più piccolo al più ingombrante, concorra alla composizione della tecnosfera.

Tramite una parafrasi della celebre frase di Andy Warhol, l’autore parla di un “geologico quarto d’ora di celebrità” per sottolineare come mai come in questo momento l’uomo è al centro dell’immaginario palcoscenico della realtà, considerato che ogni sua azione e decisione ha ormai un impatto sempre più pesante su ogni aspetto del mondo e della vita che lo abita.

Telmo Pievani
Telmo Pievani (Foto: ANSACOM/ANDREA MEROLA)

Produzione

La sfida, davanti al brano di Telmo Pievani, è duplice: combattere l’ecoansia che la consapevolezza di essere infilati in un “vicolo cieco” provoca; non abbandonarsi al disfattismo con il cinismo dell’edonista, ormai totalmente assuefatto a uno stile di vita impossibile da immaginare diverso.

Davanti ai numeri offerti dall’autore si può cominciare a ragionare sulle dimensioni che la tecnica umana ha prodotto fino ad ora, anche se l’onesta reazione davanti a un ordine di grandezza in teratonnellate è spiazzante, essendo una quantità praticamente impossibile da immaginare.

Il nostro sembra essere un tempo estraneo alle dimensioni orizzontali, estraneo alle prospettive che il passato e il futuro offrono e richiedono. Torna alla mente la celebre frase dell’ecologista Kenneth E. Boulding: “Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo, oppure un economista”.

Il ritmo dei processi di produzione, con il miglioramento dei mezzi e delle tecnologie, ha superato la nostra capacità di consumarli fino alla loro reale usura. Ecco che si è creata una specie di “usura sociale”, per cui un oggetto non si esaurisce nel raggiungimento della incapacità di soddisfare un bisogno, ma nella necessità di essere sostituito dalla novità del momento.

Umberto Galimberti, filosofo e docente, ha dedicato un intero capitolo al consumismo nel suo saggio I vizi capitali e i nuovi vizi, nel quale ritorna più volte su come il fine dei prodotti sia arrivato a coincidere con la loro fine, su come le date di scadenza siano in realtà un mezzo per mantenere il consumo al passo con la produzione e su come la pubblicità sia lo strumento sofisticato dell’economia e della politica con cui ci vengono spacciati desideri come nuovi bisogni.

“Padrone dacci fame / abbiamo troppo da mangiare / la sazietà non ci basta più”, cantano gli Eugenio in Via di Gioia, gruppo di giovani musicisti di Torino, nel brano “All you can eat”, dando voce al grido di chi, immerso nell’opulenza del nostro tempo, quasi sembra soffrire il limite al consumo che ci è costitutivamente dato.

Pensare a delle alternative a questo nostro sistema sembra operazione da illusi o da sognatori, eppure degli esempi virtuosi ci sono stati e ci sono tuttora: nel 2007 in Italia è nato, per esempio, il Movimento per la Decrescita Felice, un’organizzazione fondata sui valori di decrescita intesa non come recesso, ma come limite degli sprechi, allungamento della vita degli oggetti e circolo virtuoso delle pratiche comunitarie.

La sola esistenza di proposte alternative a questo nostro sistema dovrebbe farci riflettere su come la realtà non sia un elemento statico, ma che anzi la nostra consapevolezza e la nostra attività in prima persona possono portarci a un futuro diverso da quello prefigurato da Italo Calvino nella Storia della foresta che si vendica, nel quale l’autore descrive un mondo nel quale l’uomo è stato completamente soppiantato dalla tecnologia da lui prodotta, diventata più intelligente di lui ed autosufficiente: “Le macchine che da tempo sapevano di poter fare a meno degli uomini, finalmente li hanno cacciati; e dopo un lungo esilio gli animali selvatici sono tornati a occupare i territori strappati alla foresta: volpi e martore allungano la soffice coda sui quadri di comando costellati di manometri e leve e quadranti e diagrammi; tassi e ghiri si crogiolano sugli accumulatori e sui magneti”.

Forse, ancora una volta, vale la pena tornare alle parole di un grande poeta come Eugenio Montale, che nella poesia Incespicare ci aveva in qualche modo avvertiti di come questo infantile protagonismo umano non permette di ascoltare la voce del mondo: “Invece è accaduto / che tutti ancora parlano / e il mondo / da allora è muto”.


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