Arrestato e rilasciato su cauzione dopo poche ore Joshua Wong, il leader del movimento di opposizione a Hong Kong contro Pechino. Motivo del fermo: una presunta assemblea non autorizzata. Un episodio, come ci spiega in questa intervista il professor Massimo Introvigne, sociologo, fondatore e direttore del Cesnur, che dimostra la volontà cinese di applicare la legge draconiana approvata pochi mesi fa: “È un segnale come tanti altri per dire ai manifestanti che la morsa si sta stringendo e che se non fanno i buoni potrebbero pagare un prezzo molto alto”. Da parte internazionale, del resto, aggiunge Introvigne, non arrivano messaggi che possano preoccupare il leader Xi Jinping nella sua politica espansionistica, che mira soprattutto alla conquista militare di Taiwan, “perché le economie occidentali e soprattutto quella americana sono troppo legate a quella cinese, a differenza di quanto accadde dopo l’occupazione russa della Crimea, che fu colpita da forti sanzioni”.
L’arresto e il rilascio di Joshua Wong è un modo per tenere alta la pressione sul movimento pro-democrazia?
È un segnale come tanti di una morsa che si sta stringendo su Hong Kong, un avviso ai naviganti: se non fanno i buoni, seguiranno provvedimenti più drastici, come è nello stile dei cinesi. I quali sono sempre imprevedibili.
Come andrà a finire?
Non saprei dire, il segnale conferma che il cronoprogramma di applicazione della nuova legge va avanti senza sosta. Le reazioni internazionali, come quelle inglesi che reclamavano la violazione del trattato tra Londra e Pechino, per la Cina non hanno valore prescritto. I cinesi non si fanno spaventare.
La Cina potrebbe aspettare che le manifestazioni si esauriscano da sole o secondo lei è sempre pronta a una repressione su vasta scala?
Se ripartono le proteste, scatteranno arresti su scala massiccia. Tutto quello che è previsto dalla legge sarà applicato alla lettera. Solo il fatto che esistano oppositori che scrivono o sono in contatto con stranieri dà fastidio a Pechino e questo spiega il segnale che arriva con l’arresto di Joshua Wong. Se ci fossero proteste massicce, la legge sarebbe applicata, come di fatto si sta facendo, visto che diversi sono già gli arresti di ragazzi fermati per strada.
Si segnala l’episodio inquietante di alcuni giovani che su un motoscafo stavano cercando di dirigersi a Taiwan. Sono stati deportati in Cina e non hanno più avuto contatti con le famiglie.
Sì, è l’applicazione della legge che permette di portare persone accusate di reati contro la sicurezza nazionale in Cina, dove poi vengono assistiti da avvocati d’ufficio scelti dal partito.
Che cosa può temere di più la Cina a livello internazionale? Per esempio il risultato delle presidenziali americane?
La Cina va avanti con il suo programma, che è come entrare nell’acqua fredda, mettere il piede per vedere cosa succede. Se non è troppo fredda, va avanti. Xi Jinping ha già detto innumerevoli volte che l’obbiettivo finale è la conquista militare di Taiwan passando per la ridefinizione dei confini con l’India e la parte del programma già attuata che riguarda la normalizzazione di Hong Kong. A ogni passo Pechino testa le reazioni internazionali.
Che non ci sono o sono deboli, giusto?
Ci sono, ma non sono tali da convincerlo a fermarsi. L’Europa rilascia dichiarazioni e gli Usa impongono sanzioni mirate contro alcuni dirigenti del partito che non avranno il visto per mandare i loro figli a studiare in America. Ci sono sanzioni economiche, ma di impatto modesto. Alcune, in realtà, hanno efficacia, come il divieto a Huawei di approvvigionarsi di alcuni elementi negli Usa e nei paesi alleati. Ma sono cose piccole rispetto all’embargo a Cuba o alla Russia dopo l’invasione della Crimea.
Sanzioni simboliche?
Un po’ più che simboliche, ma non tali da far cambiare tutta la politica a un soggetto come Xi, che pensa di essere onnipotente. Le elezioni cambieranno un po’ lo stile americano se vince Biden, che – è giusto chiarirlo – non è un agente della Cina come dice Trump, però ha uno stile più felpato rispetto a quello bombastico di Trump. Ma chiunque siederà alla Casa Bianca, l’opinione pubblica americana sarà sempre nemica della Cina.
E l’Europa?
Se ci fosse un’azione militare contro Taiwan, emetterebbe un bel comunicato. Ma non si bloccherebbero i prodotti cinesi, perché loro bloccherebbero i nostri e sarebbe un bel guaio per le nostre aziende. Xi va avanti testando le acque come faceva Hitler con la politica dei piccoli passi, guardando le reazioni internazionali.
Con Hitler però a un certo punto si è reagito. Con la Cina?
L’incidente può succedere, non è escluso che gli americani possano reagire a qualche mossa in modo più duro. Ma non certo con una totale separazione delle economie, come sta dicendo Trump a mo’ di slogan elettorale. Se pensassimo ai legami finanziari molto stretti tra America e Cina, che non intercorrevano tra America e Russia, capiremmo perché le sanzioni a Mosca furono molto più facili da applicare di quanto non sarebbe con Pechino.
(Paolo Vites)