È stata la telenovela primaverile della politica italiana la questione di concedere un terzo mandato ai presidenti di regione. Ora sembra finita con un nulla di fatto, ma nasconde molto più di una banale questione di poltrone per i governatori uscenti, Zaia, De Luca ed Emiliano, nello specifico immediato. Dietro il caso del terzo mandato ci sono complicati equilibri politici che ora vanno in frantumi.
Di chi la responsabilità? A premere per il terzo mandato dei governatori era soprattutto la Lega, per salvare Zaia, popolarissimo governatore del Veneto, che da solo era garanzia di tenere la regione del leone di San Marco, dove si voterà in autunno, insieme a Marche, Toscana, Campania e Puglia.
A opporsi, da sempre, Forza Italia. A fare da spettatore l’opposizione, con il Pd dilaniato fra chi, come De Luca, sperava che la Lega la spuntasse, e chi, come la Schlein, sperava negli azzurri, per potersi finalmente liberare del potente governatore campano, lontanissimo da lei.
In mezzo al guado a lungo è rimasta Fratelli d’Italia. Dopo il deludente risultato delle amministrative, da una posizione di contrarietà era passata a una generica disponibilità sulla base del calcolo che, concedendo il terzo mandato alla Lega, il Veneto sarebbe stato vinto in carrozza, e la Schlein avrebbe avuto l’inferno in casa se avesse dovuto sloggiare De Luca da candidato in Campania. Un cambio di posizione che non può non aver avuto l’avallo della premier.
Ieri, all’improvviso, tutto è saltato. A leggere il comunicato leghista il maggior sospettato è Forza Italia: il responsabile enti locali del Carroccio Locatelli, infatti, accusa gli alleati berlusconiani di aver proposto una sorta di scambio: il terzo mandato in cambio della legge che allarga le maglie sulla cittadinanza, il cosiddetto ius scholae, tanto caro a Tajani e ai suoi. Su questo l’indisponibilità è totale, dei leghisti, ma soprattutto di FdI.
È questo “no” che ha fatto saltare la trattativa, affossando due leggi in un colpo solo, terzo mandato dei governatori e ius scholae. A questo punto se Forza Italia insistesse sulla cittadinanza più facile sarebbe a rischio la compattezza stessa della coalizione di governo.
A meloniani e salviniani è parsa semplicemente inconcepibile l’idea di un dialogo fra Forza Italia e Pd. Nessuno spazio deve essere lasciato alla prospettiva di un centro che torna a coagularsi anche solo intorno a singoli temi. E se invece fosse proprio questa la relazione “pericolosa” più temuta a destra? Sarebbe un esito che su queste pagine è stato previsto. Di fatto, quella dell’intesa a distanza tra Pd e FI è la prospettiva di un centrosinistra europeista che torna a coagularsi anche solo intorno a singoli temi.
Questione terzo mandato chiusa? Quasi sicuramente sì. I tempi stringono, martedì scadono i termini per la presentazione in commissione al Senato degli emendamenti al disegno di legge sull’aumento del numero dei consiglieri regionali, veicolo ideale per inserirvi il terzo mandato. Solo un colloquio dei tre leader, magari a margine del consiglio dei ministri previsto oggi, potrebbe riaprire la questione. Scenario decisamente poco probabile, però.
Al centrodestra, a questo punto, non rimane che concentrarsi sulla scelta delle candidature. L’incubo è il 4-1 a favore del centrosinistra. Vittoria, quindi, solo in Veneto, dove però bisogna tener conto della forza di Zaia. Le Marche, guidate oggi dal meloniano Acquaroli, sono in bilico, la Campania è appesa alle scelte di De Luca, che non risponde alle direttive del Nazareno, la Toscana è una roccaforte del centrosinistra (Giani si ricandida), in Puglia per il centrodestra è dura.
Puntare su candidati di livello, e non estemporanei, sarà decisivo per evitare un bagno di sangue. E sinora il centrodestra non ha dato gran prova di sé nella scelta dei propri portabandiera. I casi dei candidati alle ultime comunali a Milano e a Roma sono in questo emblematici dei rischi da evitare (come dimenticare l’autogol della Meloni in Sardegna nel 2024 con la candidatura di Truzzu).
La prima scelta oculata dovrà essere quella del Veneto. Imperativo vincere senza scassare la coalizione, percorsa da troppi appetiti. La poltrona di Zaia è reclamata dai leghisti, da FdI, ma anche da Forza Italia per Flavio Tosi, già sindaco di Verona prima di scendere dal Carroccio.
L’intesa sarà difficile, perché presuppone un riassetto di potere nelle regioni settentrionali (a primavera del 2026 si vota a Milano, nel 2028 per la Regione Lombardia). Meloni, Salvini e Tajani non possono sbagliare ancora, devono trovare una soluzione che non umili nessuno.
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