È sempre molto affascinante vedere come il cinema americano e in primis hollywoodiano racconta il capitalismo, i suoi pregi e (molto più raramente) i suoi difetti, il modo in cui ha informato ogni aspetto del sistema e della società. Prendiamo per esempio The Banker, il film di George Nolfi, uno dei primi realizzati da AppleTv+ per la sua piattaforma streaming, e il modo in cui fa passare il suo peana per film sui diritti civili.
Tratto ovviamente da una storia vera, il film racconta di Bernard Garrett (Anthony Mackie), un genio dei numeri applicati alla vendita immobiliare la cui ascesa è frenata dal fatto di essere nero negli Usa di fine anni ’50. Così, assieme a un altro imprenditore afroamericano (Samuel L. Jackson, perfetto), chiedono aiuto a un bianco (Nicholas Hoult) per far loro da prestanome e continuare a prosperare negli affari. Fino a che Garrett decide di comprare una banca nella sua città natale, nel razzistissimo Texas.
Niceole R. Levy e il regista scrivono una tipica parabola all’americana, di sogni americani, ingiustizie e riscatti altrettanto americani, e mentre raccontano uno dei fronti della battaglia per i diritti civili – ovvero le case pubbliche, il loro degrado e il rifiuto da parte dei bianchi di vendere o affittare a neri – traggono anche un saggio sul capitalismo visto dagli occhi dei capitalisti, in cui la rivoluzione passa paradossalmente dalla maggiore conservazione e comprensione delle regole del gioco.
Partendo dall’idea che una situazione di partenza impari porterà a una serie di disparità conseguenti (la battaglia per i diritti civili parte dalla razza, arriva alla classe e penetra nei meandri della famiglia), Nolfi mostra come siano il denaro e la sua funzione normativa – quindi il capitalismo – a raddrizzare i torti e regolare le leggi scritte e non che quei torti hanno creato, è la forza del profitto a fungere da livella e bilancia, stando al modo di vita di americano: è dalla capacità di creare ricchezza che si valuta il talento e solo quello può garantirti un futuro, anche oltre l’etica o la giustizia degli uomini (e infatti nel finale, Garrett diventa un simbolo politico attraverso il suo talento economico).
Non a caso, per mostrare il capitalismo al lavoro e allo stesso tempo mettere in mostra i valori migliori secondo la filosofia Apple, The Banker racconta quella che secondo la storia del cinema è una sorta di età dell’oro del capitalismo americano, gli anni ’50 di Tucker di Coppola o di The Founder sul MacDonald’s (da contrapporsi invece agli anni ’80 del declino del capitalismo “classico”) e lo fa sfoderando uno stile accademico, di produzione alta, patinato e lustro, ma anche inerte, perfetto per la visione casalinga e per veicolari messaggi diretti.
Si potrebbe notare come è curioso che in questo caso, ma non è il solo, il discorso politico-economico flirti con il film di truffa, ma è perfettamente conforme alla visione di un mondo ancora legata a una certa mitologia di frontiera, per cui si può aggirare o forzare la realtà pur di affermare le proprie ragioni, in virtù di un bene superiore.
Nolfi quindi non esce da nessuno steccato, da nessuna regola, anzi ci si adatta benissimo tanto da raccontare con forma e contenuto proprio il senso di una regola, la costruzione di una legge, l’edificazione di un sistema di vita discutibile ma per certi versi inattaccabile. Un modo sottile e intelligente per propagandare un sistema di pensiero prima che di governo, magari anche godendosi un “bel film”, a patto però di riconoscerne la sua funzione primaria nascosta dietro le apparenze.