L’inflazione torna a salire sia in Italia che in Europa. L’Istat ha infatti comunicato che a gennaio l’indice dei prezzi è cresciuto in termini tendenziali dell’1,5% rispetto al +1,3% di dicembre. Ad aumentare particolarmente anno su anno sono stati i prezzi dei beni energetici regolamentati e di quelli alimentari lavorati. Nell’Eurozona, invece, l’inflazione si è attestata al +2,5% in termini tendenziali, con un lieve incremento rispetto al +2,4% del mese precedente.
Secondo Eurostat, il dato relativo ai servizi (+3,9%) dovrebbe rappresentare il livello più alto dell’anno. E, come ricorda Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «è importante monitorare l’inflazione relativa ai servizi, perché è legata anche alla dinamica retributiva, trattandosi di settori in cui spesso vi è un forte contenuto di lavoro».
Sia in Italia che nell’Eurozona in generale si è avvertito il peso del rialzo dei prezzi energetici…
Sì, è noto che ci sono economie più sensibili a questi rialzi. La Germania lo è e, dato che il principale Paese dell’Ue, l’andamento della sua inflazione influenza non poco il trend generale dei prezzi relativo all’Eurozona.
Vedendo i dati sul Pil dell’ultimo trimestre del 2024, che parlano per l’Eurozona di una crescita zero, e un’inflazione che a gennaio ha rialzato la testa, è esagerato parlare del rischio di stagflazione?
Sì, più che altro perché quando abbiamo sperimentato questo fenomeno in passato ha avuto una dinamica piuttosto destabilizzante. Tenderei, quindi, a essere cauto su questo e a cercare di capire se, come ci siamo detti in passato, l’economia europea abbia toccato il fondo. C’è da augurarselo.
Si sta già parlando di pressioni sui prezzi energetici in vista dell’estate. Se continuassero a salire, qualche problema non solo all’inflazione, ma anche alla crescita lo darebbero.
Indubbiamente. Tuttavia, non abbiamo al momento indicazioni che possano farci dire che la situazione continuerà a peggiorare su questo fronte. Vedo semmai una certa preoccupazione per gli effetti sull’economia europea dei possibili dazi che Trump potrebbe imporre all’Ue. Anche se l’Amministrazione Trump deve fare attenzione a non trasformare le tariffe in un boomerang.
In che senso?
I dazi si ripercuotono sui prezzi dei beni importati e dunque sull’inflazione, nonché, di riflesso, sulla politica monetaria che la Federal Reserve sta portando avanti. Alla fine c’è il rischio che qualche danno lo registri anche l’economia americana.
Come ha ricordato poc’anzi, in Europa si sta guardando con una certa apprensione ai possibili dazi che Trump potrebbe introdurre, ma c’è anche chi ritiene che il Presidente americano non calcherà la mano contro l’Ue. Lei cosa ne pensa?
C’è incertezza, ma fino a un certo punto. Dopo tanti annunci di Trump, infatti, è ovvio che qualche misura protezionistica contro l’Europa verrà introdotta. Dobbiamo cercare, quindi, quanto meno come Italia, di giocare d’anticipo.
In che modo?
Quello che potremmo fare è cercare di ampliare le possibilità di accordi commerciali con la Cina. Certo, non dobbiamo pensare che possa avere un traino per l’export come l’ha avuto in passato per la Germania, ma un contributo lo può dare, come anche l’India, che è il Paese che promette di crescere di più nei prossimi anni. Bisogna guardare dove possono essere i potenziali sbocchi favorevoli per i nostri prodotti, senza dimenticare che dai tempi di Ricardo gli scambi tra Paesi portano vantaggi a entrambe le parti.
La Bce la scorsa settimana ha tagliato i tassi dello 0,25%. Pensa che questo rialzo dell’inflazione la porterà a cambiare rotta?
Probabilmente la Bce si prenderà una pausa, favorita dal fatto che questo mese non è in programma una riunione del Consiglio direttivo sulla politica monetaria, per vedere l’effetto dei tagli che ha già apportato, che, considerando la situazione di un anno fa, non sono stati complessivamente marginali, per poi riprendere il percorso di riduzione dei tassi previsto.
(Lorenzo Torrisi)
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