La diplomazia non deve mai smettere di cercare le vie della pace. Ricordi di una missione ad Astana (Kazakistan) e di alcuni interessanti incontri
Sempre più spesso in questi tempi di guerre più o meno dichiarate si sente invocare il ricorso al lavoro della diplomazia. Ma che cosa fanno i diplomatici?
Nei consolati si occupano principalmente dell’assistenza ai propri connazionali. Nelle ambasciate lavorano per rappresentare il proprio Paese a livello politico, cercando di mantenere le migliori relazioni possibili con il Paese che li ospita, a vantaggio del proprio Paese.
Avendo insegnato per diversi anni nell’Istituto di diplomazia dell’Università nazionale euroasiatica di Astana (Kazakistan), e avendo collaborato molto attivamente sia con l’ambasciata italiana sia con la nunziatura, ho potuto imparare molte cose sull’argomento. Immodestamente, ho avuto anche la possibilità di collaborare alla preparazione dei futuri diplomatici kazaki, alcuni dei quali hanno raggiunto incarichi di assoluto rilievo.
In questo lavoro è importante la capacità di trasmettere informazioni importanti in base alle quali il proprio Governo può prendere le sue decisioni. Direte: ma questo non è spionaggio?
Chiunque può capire che a parte le informazioni raccolte dalla sezione dei servizi segreti, un buon diplomatico deve innanzitutto trasmettere non solo, ovviamente, le informazioni di carattere politico sul Paese ospite, ma anche quelle più complesse sulla situazione sociale, con una particolare attenzione a quei settori della società con cui è più utile collaborare.
Capite allora quanto grande sia la responsabilità di un diplomatico intelligente e seriamente preparato. E capite come sia anche importante che i futuri diplomatici possano incontrare esperienze umane significative, che li facciano diventare uomini veri e non servi inutili o semplici burocrati. Questa è anche un po’ la sintesi del lavoro che ho fatto all’Istituto di diplomazia.
A questo proposito mi piace tornare sulle sensazioni che hanno lasciato in me alcuni personaggi tra quelli che sono passati dall’Istituto di diplomazia di Astana per tenere lezioni agli studenti e agli insegnanti.
Sto parlando di un periodo, dal 2002 al 2011, quando i rapporti tra l’Occidente e la Russia sembravano essere ancora molto positivi. Imperversava la realpolitik di Berlusconi, che si comportava con Putin come certi dirigenti d’azienda facevano con esponenti del governo russo nella prospettiva di fare buoni affari.
Sta di fatto che quando una mattina della primavera del 2002 Putin si presentò all’Università Eurasiatica, come non avrebbe probabilmente fatto oggi, insieme ad altri presidenti, per ribadire il Trattato CSTO, la prima cosa che mi impressionò fu la sua lucidità e la sua freschezza, di uno che era appena atterrato venendo da cinque ore di volo, e si presentava alle 9 del mattino con una grinta che faceva sembrare gli altri come un gruppo di pensionati che a fatica cercavano di svegliarsi.
Prese in mano il programma dell’evento che criticò aspramente, soprattutto laddove si definiva la Federazione Russa come Paese ospite e non, come da sempre, alleato. L’esternazione, fatta in “fuori onda”, avvenne con termini della lingua russa che riuscii a capire solo per la precedente frequentazione di un lager.
L’anno prima, in quella stessa sala, era intervenuto San Giovanni Paolo II, dici giorni dopo l’attentato alle Torri Gemelle di New York. Quanto le parole del Papa rivolte agli studenti erano state testimonianza di un desiderio concreto di superare le vecchie divisioni tra Occidente e Unione Sovietica, nella prospettiva di evitare un nuovo conflitto col mondo islamico, tanto l’intervento di Putin, pur parlando di un’alleanza difensiva come quella del CSTO, sembrava esprimere la convinzione che bisognasse allearsi per difendersi da tutti i nemici possibili. Compresa quella NATO che aveva rifiutato la possibilità di una partecipazione russa.
Di Lavrov posso dire che, intervenendo, lasciò l’impressione di essere un vero professionista di una certa diplomazia. Un diplomatico assolutamente ben preparato, comunque disposto a dire oggi che Napoleone è stato un grande statista e domani a dolersi perché non aveva capito niente.
Una particolare attenzione merita poi il racconto dell’incontro con Michail Gorbaciov, che ebbe anche un breve ma significativo momento di contatto personale. Gorbaciov, grande amico dell’allora presidente della Repubblica del Kazakistan, Nursultan Nazarbayev, mi diede subito l’impressione di un uomo di fede.
Non magari di fede in Dio, come apparve evidente nell’indimenticabile moglie Raissa, la prima consorte di un primo segretario del PCUS che volle per sé funerali pubblici e religiosi, ma una fede in un socialismo purificato attraverso la cosiddetta perestrojka.
Alla fine della sua lezione, in un momento del dibattito che ne seguì, attraverso un mio studente, gli feci questa domanda: “Come mai lei che aveva questo grande progetto non è riuscito a realizzarlo, mentre Lech Wałęsa, che non aveva nessun programma politico globale, è riuscito a vincere?”. Rispose con un sorriso triste e intelligente: “Sì, ma lui ha avuto con sé il popolo, io no”. Lascio ai politologi professionisti l’analisi, neanche tanto difficile, di questa risposta.
Infine, vorrei parlare di quella volta che Jomart Tokaev, allora ministro degli Esteri, ora presidente della Repubblica del Kazakistan, venne a spiegare il trattato che era appena stato siglato per definire i confini con la Cina.
Gli accordi avevano destato un certo malcontento: erano stati concessi alla Cina tutti quei passi che davano l’accesso alle valli che molti anni prima erano state contese nella guerra tra l’URSS e la Cina, conclusasi con l’annientamento delle truppe cinesi penetrate in Kazakistan e nella Siberia asiatica.
Tokaev, che conosce bene i cinesi perché si è laureato a Pechino e parla perfettamente il mandarino, ricordò a tutti la sproporzione evidente tra la Cina e il piccolo – in confronto – popolo kazako. Ricordò che alcuni esponenti cinesi erano arrivati a pretendere che i confini arrivassero fino al lago Balkhash. Ora si trattava di scegliere tra la sicurezza e l’integrità territoriale.
Il ricordo di quella lezione mi riporta al fatto che quando nel settembre 2022 andai in Kazakhstan per la visita di Papa Francesco, il giorno dopo arrivò ad Astana Xi Jinping. Era cominciata la guerra in Ucraina, e in alcune regioni del Kazakistan, in maggioranza abitate da russi, si stava facendo strada il desiderio di un’annessione alla Russia, come avevano chiesto alcuni della Crimea e del Donbass.
Ci fu un incontro con Tokaev, trasmesso dalla televisione, durante il quale il leader della Cina promise che la Cina avrebbe garantito l’integrità territoriale del Kazakistan contro ogni tentazione separatista. Chiaro, no?
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.