Il professor Aldo Enrietti, docente di Economia industriale nella facoltà di Scienze Politiche di Torino, sgombra il terreno da molti luoghi comuni sulla crisi dell’auto, sul mercato automobilistico mondiale, sui motivi della caduta della domanda sul mercato europeo.
Si dice in genere che ci sia una sovrapproduzione, un eccesso di capacità produttiva.
Ma io resto abbastanza sorpreso e perplesso quando sento queste affermazioni. Perché di questi problemi se ne parlava già trenta anni fa, questi problemi c’erano già trenta anni fa. Ma si riusciva, magari con l’introduzione di nuovi e altri modelli a ovviare a questo eccesso. Il problema reale con tutta probabilità sta altrove.
In Europa, nella caduta della domanda di automobili, gioca soprattutto un ruolo determinante la crisi.
La crisi che stiamo attraversando sta sicuramente giocando un ruolo importante a anche determinante. Ma lei può vedere dati diversi, può fare valutazioni differenti, anche giudicando complessivamente quale è la politica industriale europea per l’auto. A me pare che in Italia, la crisi ha fatto da detonatore a una situazione che contemplava già delle gravi problematiche. Se si ricorda, della chiusura di Termini se ne cominciò a parlare all’inizio degli anni Duemila. Facciamo comunque alcune considerazioni. In Europa ci sono 17 o 27 Stati che fanno ognuno quello che vuole, dove non si coordina nulla a livello di politica industriale in campo automobilistico. Il contrario di quello che può fare il presidente americano Obama, perché è il presidente di uno Stato federale. Infatti negli Usa c’è una leggera espansione del mercato automobilistico dopo le scelte fatte. Invece, in Europa, con questa assenza di politiche industriali, i dati alla fine si vedono.
Che cosa dicono esattamente questi dati?
La Germania, con la Volkswagen fa ancora utili e complessivamente, per il momento, il settore automobilistico tedesco regge. In Francia, nonostante le difficoltà, si sono fatti investimenti: quattro miliardi per l’auto elettrica, ad esempio La grande malata è l’Italia e quindi la Fiat sul mercato italiano.
Qui occorre fare due considerazioni. La prima è che l’Europa non ha certo una politica industriale comune. La seconda è che il precedente governo, quello di Silvio Berlusconi, per una politica industriale dell’automobile non ha fatto nulla, anzi ha rotto una storia tra Fiat e Italia. L’attuale governo mi sembra oggettivamente in difficoltà.
Abbandonare un settore come quello dell’automobile deve avere un peso non solo per la Fiat, ma per la stessa Italia nel suo complesso.
Ma infatti io starei attento nella valutazione del Pil, alla sua discesa. E quale peso ha avuto la crisi della Fiat in Italia, con gli stabilimenti fermi, nella contrazione del prodotto interno lordo italiano. Si pensava un tempo che la crisi della Fiat avesse una ricaduta su Torino e il torinese, ma il fatto mi sembra riduttivo, perché poi l’indotto di una casa automobilistica come la Fiat è molto più ampio e investe molte aziende del Paese.
Ma quale potrebbe essere la strada di una ripresa del mercato.
Quando si parla di mercato dell’automobile occorre fare alcune distinzioni: c’è il mercato asiatico, che è differente persino dalla Cina, c’è il mercato sudamericano che è in espansione, c’è il mercato Usa, c’è un mercato europeo che in questo momento è più in sofferenza. In questo caso, di fronte a questa gamma, c’è chi ha più capacità di penetrazione in alcuni mercati e, avendola, compensa la caduta della domanda interna.
A suo parere è giusta la definizione che molti danno di Sergio Marchionne: è un finanziere non il capo di una grande industria.
Mi sembra che sia forzata, non è esatta. Marchionne è un manager che cerca di gestire una situazione non semplice e che probabilmente ritiene l’Italia un segmento di mercato, scegliendo invece altri mercati, come quello americano e quello brasiliano, sudamericano.
Ma questo vuol dire che la Fiat si sta staccando dall’Italia, se ne sta andando?
Non è detto e non lo si può dire. Certo, ci sono segnali che non sembrano confortanti. L’attuale mancanza di investimenti e il loro rinvio, Mirafiori di fatto chiusa perché in cassa integrazione. Ma non si può dire, si può solo ipotizzare. Del resto, scusi, lei poteva pensare, solamente fino a più di un anno fa che l’euro fosse a rischio? Non credo che qualcuno lo pensasse. Non è detto e non si può dire che la Fiat se ne vada. Ma di fronte all’assenza di politiche industriali, un manager deve scegliere quello che è più utile alla sua azienda. Magari alla Fiat stanno solo aspettando.
(Gianluigi Da Rold)
Leggi anche
- SETTORE AUTO/ La Cina lancia indagine su possibili violazioni di marchi registrati
- RAPPORTO UNRAE/ L'auto in Italia "cresce" come nel 1980: a quando il rinnovamento del parco?
- FOCUS ANFIA/ Nel mercato auto europeo si torna a girare con la doppia cifra: la Spagna domina, l'Italia insegue terza in netta ripresa