La trattativa sul nucleare iraniano riparte da Roma. All’Oman rimane il ruolo di mediatore, ma stavolta i colloqui tra la delegazione USA e quella di Teheran avranno sede sabato nella capitale italiana. Una circostanza che dà prestigio al nostro Paese, anche se, almeno apparentemente, non avrà un ruolo nel negoziato.
L’accordo si potrebbe raggiungere, spiega Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’ISPI, perché Trump non vuole guerre, mentre Khamenei è alla guida di un Paese indebolito come potenza regionale e fiaccato da una pesante crisi economica.
L’intesa non sarà facile, ma gli indizi per un risultato positivo ci sono: il New York Times ha rivelato che Trump ha bloccato i piani per un attacco dell’IDF ai siti nucleari iraniani, un no secco detto a Netanyahu in occasione dell’ultima visita alla Casa Bianca. In Italia, in queste ore, arriva anche il vicepresidente USA J.D. Vance, ma la sua visita non avrebbe niente a che vedere con i colloqui con l’Iran.
Trump avrebbe bloccato un attacco di Israele ai siti nucleari iraniani. È un messaggio in vista delle trattative di Roma per convincere Teheran a trovare un accordo?
L’obiettivo degli americani, soprattutto dell’attuale amministrazione, è di non essere mai più invischiati in quelle che Trump, in campagna elettorale, chiamava “le guerre senza fine del Medio Oriente”. Il presidente americano, con le sue dichiarazioni, vuole fare pressione prima di tutto sugli israeliani, per far capire loro che non è proprio il caso di attaccare l’Iran. I piani dell’IDF prevedevano non solo di bombardare i siti nucleari entro maggio, ma anche una missione dei reparti speciali che entrassero in questi siti. La maggior parte sono realizzati sotto terra e non è detto che le bombe siano sufficienti a distruggerli: gli israeliani volevano che gli americani partecipassero a queste incursioni.
Quando è andato a Washington, quindi, Netanyahu ha chiesto a Trump l’autorizzazione a intervenire?
Era convinto di ottenere il sì americano. Invece no, Trump gli ha detto a brutto muso che gli USA pensavano di aprire una trattativa. La rivelazione del rifiuto statunitense sul New York Times, però, naturalmente, è anche un messaggio all’Iran, per mostrare quanto sia forte la disponibilità americana a trovare un compromesso. La trattativa, comunque, non sarà facile. L’idea originale degli USA è di smantellare il programma nucleare iraniano, ma Teheran si oppone e vuole tornare all’accordo di cinque anni fa: l’intenzione iraniana è di fermare l’arricchimento dell’uranio a percentuali utili per un uso civile dell’energia, 10% o poco più. Per arrivare a realizzare un’arma nucleare andrebbe portato al 90%.
Come si può uscire da questa impasse sull’arricchimento dell’uranio?
Un’ipotesi potrebbe essere quella del coinvolgimento della Russia. Per quanto sia alleata dell’Iran, nemmeno Mosca vuole che si allarghi: è troppo pericoloso che abbia la bomba atomica. Ci sono già diverse potenze nucleari in Asia: India, Pakistan, Nord Corea. Il nucleare prodotto da Teheran potrebbe essere affidato ai russi perché lo arricchiscano quel tanto che basta per la produzione civile iraniana.
Se la trattativa non dovesse andare a buon fine, gli americani si convincerebbero ad attaccare l’Iran?
Non credo che la trattativa, che naturalmente comprenderebbe anche le sanzioni economiche imposte all’Iran, possa fallire. Penso che si arriverà a un accordo, perché l’amministrazione Trump non vuole guerre. Gli iraniani, d’altra parte, sono in difficoltà, hanno accusato il colpo dell’attacco israeliano alle loro difese e hanno problemi economici seri: anche loro vogliono un’intesa.
Ci sono segnali che ci fanno capire che le intenzioni iraniane sono serie?
Gli iraniani ora non aiutano più gli Houthi. Trump ha avvisato che, se questi ultimi avessero attaccato ancora le navi mercantili dirette al canale di Suez, se la sarebbe presa con chi li riforniva di armi. E l’Iran ha cominciato subito a smantellare i missili per gli Houthi.
La rete dei proxy (Hezbollah, Houthi e anche Hamas) sostenuta finora dall’Iran è ancora funzionante? È stata smantellata o Teheran pensa ancora di mantenerla in vita?
L’Iran non ha più le infrastrutture per farlo: non c’è più il regime di Bashar al-Assad in Siria che permette l’ingresso delle armi destinate al Libano, mentre l’Armée libanaise sta prendendo il controllo del sud del Paese, prima occupato da Hezbollah.
L’incontro di sabato a Roma è decisivo? Ci possiamo aspettare qualche risultato concreto?
In generale penso che si arriverà a un accordo, ma le trattative sono complicate, soprattutto riguardo al tema dell’arricchimento dell’uranio. L’accordo JCPOA del 2015, il precedente accordo sul nucleare iraniano, prevedeva che l’Iran limitasse l’arricchimento, una parte del quale veniva realizzato dalle strutture russe. Magari l’obiettivo è tornare agli elementi fondamentali di quell’intesa. Anche l’accordo che gli USA vorrebbero sottoscrivere con l’Arabia Saudita, fermo fino a che Israele non aprirà la trattativa sul futuro della Palestina, si basa su un principio del genere. Gli americani arricchirebbero l’uranio per permettere ai sauditi di far funzionare le centrali nucleari per un uso dell’energia in campo civile.
Concedere un programma nucleare non significa permettere, prima o poi, la produzione di armi nucleari?
Sono tanti i Paesi che hanno programmi nucleari civili, una quarantina. E, quando ci sono questi impianti, si possiedono i macchinari necessari per arricchire l’uranio e anche per passare dall’uso civile a quello militare. Sono Paesi tecnologicamente capaci di passare al nucleare militare.
(Paolo Rossetti)
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