Hamas dice che sabato rilascerà alcuni ostaggi, come previsto dall’accordo. E Israele attende. Ma la tregua a Gaza dimostra tutta la sua fragilità. Il problema vero, osserva Filippo Landi, già corrispondente RAI a Gerusalemme e inviato del TG1 Esteri, è il futuro dei palestinesi di Gaza.
Hamas chiede che arrivino le tende e i caravan previsti per ospitarli, segno che potrebbero avere un futuro nella loro terra. Il ritorno al conflitto, invece, segnerebbe un punto a favore della loro espulsione dalla Striscia.
Giordania ed Egitto non vogliono accogliere i palestinesi che il piano di Trump prevede di spostare fuori da Gaza, e insieme ai Paesi arabi starebbero approntando un piano alternativo. Per finanziare la ricostruzione, però, i Paesi del Golfo vogliono delle garanzie, la prima delle quali è che i palestinesi non verranno cacciati dalla loro terra. Intanto il nuovo segretario di Stato USA, Marco Rubio, inizia la sua prima missione diplomatica in Medio Oriente.
Qual è l’elemento che ha messo in discussione la tregua a Gaza e aumentato il rischio del ritorno alle armi a Gaza?
Il problema è il venir meno dell’accordo su un tema centrale: l’ingresso degli aiuti necessari per la sopravvivenza dentro Gaza delle persone sfollate. Oltre alla farina e al latte in polvere, quello che era ben chiaro nell’accordo era la possibilità, per le grandi organizzazioni umanitarie, di far arrivare dentro la Striscia decine di migliaia di tende e di caravan, strutture abitative per non lasciare le persone esposte al vento e alla pioggia.
Quante ne dovevano entrare?
Si era fatto il calcolo di 200mila tende. Considerando che in ogni tenda, ragionevolmente, possono entrare sei persone, l’obiettivo era di ospitare oltre un milione di sfollati, utilizzando anche alcune decine di migliaia di caravan. Tutto questo non è accaduto: nella settimana che dovrebbe concludersi con un nuovo scambio di prigionieri, al momento sono entrate solo 20mila tende.
Su questo si gioca, quindi, la prosecuzione della tregua?
Se l’esercito israeliano riceverà l’ordine di permettere l’ingresso dei caravan, la tregua forse potrebbe rimanere in piedi e sabato avvenire la liberazione degli ostaggi e dei detenuti palestinesi. Hamas chiede l’ingresso di questi mezzi, che devono essere accompagnati da alcune decine di mezzi pesanti per la rimozione delle macerie, senza i quali non si riescono a sgombrare i terreni necessari per l’installazione delle tendopoli o dei caravan.
Ma perché è così importante che a Gaza si approntino strutture abitative provvisorie, al di là dell’evidenza di dover dare un riparo alle persone?
Ci sono aiuti umanitari che servono per non morire e altri che servono per dare un futuro a Gaza e alla sua popolazione. Se non arrivano le tende e i caravan, il futuro dei palestinesi è segnato nel senso proposto da Trump e sostenuto dal ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, cioè l’espulsione della popolazione palestinese da Gaza.
Il piano trumpiano della “riviera del Medio Oriente” è l’unico sul tavolo ora?
Il re giordano Abdallah ha detto di no su questo a Trump, riferendo nel contempo che il mondo arabo è pronto a definire un piano alternativo, che dovrebbe essere discusso il 27 febbraio prossimo al Cairo. Una proposta che prevede il sostegno finanziario dell’Arabia Saudita, degli Emirati Arabi e anche del Qatar.
Ma questo è possibile se il quadro non viene stravolto dalle esigenze militari del governo di Gerusalemme. I parenti degli ostaggi, intanto, hanno bloccato la circolazione a Tel Aviv proprio perché si rendono conto che queste ore sono decisive.
Katz si dice pronto a riprendere la guerra, promettendo la sconfitta di Hamas. È ancora questo l’obiettivo, almeno di una parte del governo?
Il ministro della Difesa israeliana ha dichiarato che, con la ripresa del conflitto, la priorità sarebbe quella. Bisogna riflettere, tuttavia, sul tipo di guerra che è stata condotta finora. È stata usata principalmente l’aviazione, con bombe devastanti che hanno distrutto il 70% delle unità abitative della Striscia, aumentando la devastazione con carri armati e artiglieria.
Durante la liberazione degli ostaggi, però, abbiamo visto che i militari di Hamas erano presenti e ben armati. L’esercito israeliano, infatti, non ha usato la fanteria per sconfiggerli, perché avrebbe pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane.
L’obiettivo vero era colpire i palestinesi per costringerli a lasciare la loro terra?
Questo è stato il tipo di guerra che è stato condotto. Ma era evidente sin dall’inizio.
Il re di Giordania ha promesso di curare 2mila bambini palestinesi malati, ma non di assecondare il piano per la deportazione della popolazione di Gaza. Il presidente egiziano Al Sisi, invece, non ha voluto incontrare il suo omologo USA. Egitto e Giordania, comunque, hanno annunciato un piano alternativo dei Paesi arabi. Il punto del contendere, anche dal punto di vista della tregua, resta questo, il futuro dei palestinesi?
Che ci sia un’opposizione al piano Trump è abbastanza evidente. In queste ore il segretario di Stato americano, Marco Rubio, inizierà un tour in Medio Oriente, in Israele, in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi. Già l’annuncio dice che gli americani hanno ben chiaro che ci sono due Stati importantissimi, oltre a Egitto e Giordania, che si rifiutano di accettare il loro piano.
La questione è complessa: il piano arabo ripropone un’esigenza che gli Emirati, in particolare, metteranno sul tappeto. Sono disponibili a investire nella ricostruzione di Gaza, ma non senza garanzie. Gli Emirati hanno investito decine e decine di milioni di dollari nel nord di Gaza per realizzare case e palazzi oggi completamente devastati. Non costruiranno ancora se non c’è un quadro di certezza sul futuro. Ma questo dipende anche dalla situazione in Cisgiordania.
Cosa c’entra la West Bank con Gaza?
Lo svuotamento che si sta completando del campo profughi di Tulkarem, gli attacchi contro il campo di Jenin e di Aida a Betlemme pongono un problema di nuovi sfollati. Rubio si sentirà dire che non si può ricostruire a Gaza senza avere la certezza che si fermi lo svuotamento dei campi profughi in Cisgiordania, dove, tra l’altro, si verificano attacchi sempre più massicci nella zona di Ramallah, cuore dell’ANP. In una situazione del genere, i palestinesi potrebbero premere sul confine verso la Giordania.
Alcuni dicono che per allungare la tregua basterà la liberazione degli ostaggi previsti per sabato, altri, come ha dichiarato Trump a inizio settimana, che ora vanno liberati tutti. Su quali basi si potrà mantenere il cessate il fuoco?
Ci sono voci diverse, non solo da parte israeliana, ma anche da parte di Hamas. Non esiste una versione giusta. Il punto, però, è se potranno entrare da Rafah tende e caravan. Se succederà, sarà il segnale atteso dai palestinesi e anche dal mondo arabo. Rubio, quando arriverà negli Emirati e a Riyad, si troverà davanti persone molto attente ai comportamenti reali, non ai proclami.
(Paolo Rossetti)
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