Per la tregua ci vorrà almeno un mese e dovranno essere rispettate le condizioni di Putin. Per ora, chi la ostacola sono Zelensky e l’Europa, che non ammettono la vittoria russa, come conferma l’iniziativa del premier britannico Starmer che ha riunito 25 Paesi volenterosi per difendere Kiev.
Washington e Mosca, intanto, si stanno riavvicinando anche economicamente: sta prevalendo, spiega Toni Capuozzo, giornalista e inviato di guerra, la diplomazia degli affari, quella che la Cina ha applicato tanto bene in Africa e che sta sposando anche Trump.
Pechino non vuole ostacolare i rapporti USA-Russia, ma intestarsi i meriti come alleato di Mosca, per poi usarli come credito per ridurre lo scontro con gli USA anche sui dazi. In tutto questo rimane la marginalità dell’Europa.
Quali sono gli ostacoli da superare per avviare tregua di 30 giorni proposta dagli USA?
Gli ostacoli sono Zelensky e l’Europa, UE più Gran Bretagna. L‘assenso di Zelensky al cessate il fuoco è un tentativo di riaccreditarsi davanti a Trump come interlocutore affidabile. Si è trattato di un sì troppo immediato: fino a non molto tempo fa l’Ucraina parlava di vittoria, mentre ora c’è stata una conversione sulla via di Damasco molto rapida.
Questa situazione viene usata come strumento di una guerra diplomatica per far sembrare che sia la Russia a non volere la sospensione dei combattimenti. A Putin si chiede una tregua incondizionata, ma Mosca, purtroppo, ha vinto. Non a caso, Trump ha detto che sulla tregua sapremo qualcosa di più lunedì, il giorno in cui scade l’ultimatum dato dai russi alle truppe ucraine in Kursk per arrendersi. Anche Trump sa che sono circondate, lo ha visto sulle immagini dei satelliti.
Quindi la tregua non è così vicina come la fanno sembrare certe dichiarazioni di Trump, che parlano di grandi progressi? Tra l’altro, Starmer ha appena convocato 25 Stati volenterosi per dire a Putin di “smetterla con i giochetti”: un bel bastone fra le ruote al cessate il fuoco?
La tregua sarà frutto di un processo laborioso. Il problema è che Zelensky e l’Europa non possono comportarsi come chi ha vinto: avevano scommesso sulla vittoria dell’Ucraina, per tre anni non hanno mai parlato di pace. Ora siamo in una situazione per cui anche chi non ama Trump deve riconoscere che ha avuto un impatto pazzesco, imponendo la pace come parola d’ordine. Pure l’Europa parla di pace, anche se aggiunge che deve essere “giusta”, mentre la pace è solo quella possibile.
Da cosa dipenderà veramente la tregua allora?
Il problema è esaminare le condizioni poste da Putin. La prima è che sia una tregua che prelude a una pace duratura. Troppo comodo dire di fermare i combattimenti come se fosse il gong di un incontro di boxe che permette al pugile in difficoltà di respirare e venire massaggiato per poi riprendere. L’altra condizione è il riconoscimento stabile della sovranità della Federazione Russa sui territori conquistati. È uno dei punti più cruciali.
Ma l’Ucraina può accettare senza colpo ferire la dichiarazione che Crimea e quattro oblast non le appartengono più?
Ho sempre pensato che l’Ucraina accetterà una pace rivendicando la sovranità su questi territori perduti, considerandoli terre irredente. Troveranno una formula, probabilmente. C’è poi un’altra condizione posta da Putin: che durante la tregua non ci siano aiuti militari americani. La decisione della UE di inviare nuovi aiuti è la dimostrazione che Bruxelles non riesce ad accettare i fatti.
Avrebbe potuto uscirne molto più disinvoltamente, dicendo che l’Ucraina avrebbe vinto se avesse salvato l’indipendenza di Kiev e il proprio governo: tutte cose ottenute nel primo anno di guerra. Ce ne sono stati altri due del tutto inutili. Qualcuno ha sulla coscienza tutti i morti che ci sono stati nel frattempo.
Perfino Romano Prodi accusa la UE di non avere mosso un dito per la pace, di non aver presentato nessuna proposta in merito. Come è successo?
Ha sempre avuto solo un piano A, che era la vittoria. Ma è difficile vincere contro un Paese che possiede armi nucleari. Eppure ha puntato esclusivamente sull’opzione militare. Dobbiamo ricordarci come è stata annunciata la famosa controffensiva ucraina, che poi non ha dato risultati, e quante volte è stato detto che l’Ucraina doveva ritornare ai confini del ’91.
La situazione, insomma, resta complessa. Ma allora la tregua quando potrà scattare?
Si parla della Pasqua ortodossa, che quest’anno coincide con la Pasqua cristiana. Ci vorrà almeno un mese, più o meno. Una cosa certa è che Putin non accetterà nessuna tregua fino a quando ci sarà anche solo un ucraino non prigioniero sul suolo russo. Zelensky dovrà affrontare gli estremisti a casa sua, ma Putin deve fare i conti con un’opinione pubblica che non vuole vedere cedimenti.
Che scenario apre questo per quanto riguarda la NATO?
Vedo una NATO con la mordacchia, con l’Europa che deve mettere più soldi per le armi, arrivando al 3% di spesa del PIL. Le ultime due “imprese” dell’Alleanza Atlantica sono state l’Afghanistan, una ritirata ingloriosa, e l’Ucraina, dove ha combattuto per interposta persona: due sconfitte, per essere franchi. Ora è chiamata ad agire in un mondo in cui si afferma una diplomazia degli affari: non è un caso davvero che Stati Uniti e Russia stiano discutendo della rotta artica e dello sfruttamento delle terre rare russe. Un mondo che richiama l’atteggiamento della diplomazia cinese.
Sotto quale profilo?
In Africa, per esempio, Pechino ha conquistato il primato rispetto alle vecchie potenze coloniali, agendo con la diplomazia degli affari, senza curarsi se il Paese in cui operava desse il voto alle donne, mettesse in carcere gli oppositori o inquinasse senza ritegno. Trump si sta muovendo come un imprenditore, in un contesto in cui il mondo degli affari sta prevalendo su quello dei princìpi, quei princìpi che l’Occidente stesso ha tradito, come è successo in Medio Oriente.
In questo scenario, l’Europa continua a dire però che vuole riarmarsi perché la Russia è un pericolo. Anzi, i Paesi baltici e la Polonia sembrano volere lo scontro. Varsavia ha chiesto agli americani di schierare armi nucleari. Che Europa sarà?
Capisco i Paesi baltici e la Polonia, perché la Russia è un vicino scomodo. Però dovranno allinearsi ai nuovi equilibri. L’hanno fatto anche dopo la Seconda guerra mondiale: non credo che fossero entusiasti di Yalta. Continueranno a mostrarsi un po’ scalpitanti anche nella NATO, ma al di là delle parole, la realtà dei fatti è questa. Resta il tema della marginalità dell’Europa.
Le incognite sono il ruolo della Cina, dei BRICS e il peso della Russia. Mosca, ovviamente, in questo momento può stappare bottiglie di champagne perché ha vinto sul terreno e le viene restituita una dignità di pari grado con le altre nazioni.
La Cina che ruolo sta avendo e come vede il riavvicinamento USA-Russia?
Qui si sta giocando il futuro dei rapporti tra Stati Uniti e Cina. Dietro Putin c’è Xi Jinping, che è il vero alter ego di Trump.
Pechino metterà i bastoni tra le ruote a questo idillio Trump-Putin?
Sta cercando di patrocinarlo, di essere benevolente. Sperimenta una nuova diplomazia con gli Stati Uniti, che punta alla riduzione del confronto e dei dazi. Oltretutto, la Cina ha tutto l’interesse a non far deprimere troppo l’Europa, che rappresenta un mercato interessantissimo. Ai cinesi va bene che non abbia gran voce in capitolo politicamente, ma non che la sua economia si indebolisca. Paradossalmente, la Cina è una garanzia per l’Europa.
La ricostruzione dell’Ucraina, che sarà sanguinosa per le finanze europee, sarà anche una grande opportunità di investimenti e di sviluppo. Penso che Xi sia ben favorevole a una ricostruzione che coinvolga l’Europa.
Resta anche la questione spinosa dell’eventuale presenza in Ucraina di soldati con compiti di peacekeeping. Anche qui l’Europa è destinata a rimanere fuori?
Putin chiede di monitorare il cessate il fuoco con truppe che ovviamente non possono essere europee, perché la UE e la Gran Bretagna finora sono state parti in causa. La Turchia potrebbe essere una soluzione logica: è un Paese NATO, ma non ostile alla Russia, e ha già mediato l’accordo sul grano.
(Paolo Rossetti)
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