Un uomo di 40 anni – originario della Moldavia e residente a Treviso – è finito sotto processo per aver inflitto ripetute cinghiate al figlio undicenne, giustificando i maltrattamenti con un’interpretazione letterale della Bibbia.
L’episodio più grave risale al 28 luglio 2020, quando il bambino – noto per la sua vivacità – aggiunse una quantità eccessiva di sale ai piatti della cena come scherzo; scoperto il gesto, il padre avrebbe afferrato una cintura e colpito con violenza il ragazzino sulla schiena e sui glutei, lasciandolo con lividi e segni visibili.
La madre – dopo aver accompagnato il figlio al pronto soccorso per accertamenti (con diagnosi di lesioni guaribili in pochi giorni) – ha denunciato il marito ai Carabinieri, rompendo un silenzio durato anni.
L’uomo, difeso dall’avvocato Benedetta Bocchini, è accusato di abuso dei mezzi di correzione e ha scelto il rito abbreviato, ottenendo una riduzione di un terzo della eventuale pena: il processo – avviato il 17 aprile – è stato rinviato all’11 settembre per l’assenza della relazione dei servizi sociali.
Dagli atti emerge che il 40enne – seguace di una comunità evangelica – considerava le punizioni corporali un dovere religioso, citando i Proverbi dell’Antico Testamento: “La verga e la riprovazione danno saggezza”. La figlia maggiore ha poi raccontato in tribunale: “Legge solo la Bibbia e non accetta critiche, non è la prima volta che picchia mio fratello”.
Cinghiate e Bibbia: il fanatismo religioso dietro gli abusi sul figlio 11enne
La vicenda – oltre che gettare un’ombra sulla tutela dei minori – riapre la discussione, già nervosa, sui rischi del fondamentalismo religioso applicato all’educazione: la madre, nella denuncia, ha ammesso che i metodi del marito erano già motivo di diversi conflitti nella coppia, ma ha voluto sottolineare di non aver mai denunciato prima per timore di possibili ritorsioni.
“Lui è convinto che la Bibbia vada seguita alla lettera, senza mediazioni”, ha spiegato in aula, mentre il figlio 11enne – secondo le testimonianze – subiva regolarmente punizioni fisiche per presunte mancanze, giustificate da passi come Proverbi 23:13-14: “Non risparmiare la correzione al fanciullo; se lo percuoti con la verga, non morirà”.
Il caso ricorda altri episodi in Italia e in Europa, dove l’estremismo religioso ha portato a violenze domestiche mascherate da disciplina; secondo i dati del Telefono Azzurro, nel 2023 il 18% delle segnalazioni per maltrattamenti ha coinvolto motivazioni legate a credenze culturali o religiose.
L’uomo, nel frattempo, attende il processo sostenendo che “agiva per il bene del figlio”, mentre gli esperti ribadiscono l’urgenza di formare istituzioni e comunità per riconoscere e contrastare questo genere di dinamiche in cui la fede diventa un alibi per giustificare la violenza.