Donald Trump ha firmato quattro ordini esecutivi con l’intenzione di rinnovare completamente il settore nucleare statunitense, fissando l’obiettivo di quadruplicare la produzione di energia atomica entro il 2050 e i decreti in questione comportano il taglio drastico dei tempi burocratici, trasferendo una parte dei poteri di approvazione dalla Commissione per la Regolamentazione Nucleare (NRC) al Dipartimento dell’Energia e imponendo tempistiche serrate: 18 mesi per revisionare i progetti, 13 mesi per avviare tre reattori sperimentali entro il 4 luglio 2026.
Trump, circondato nello Studio Ovale da dirigenti del settore e consiglieri, ha affermato che “è il momento di rendere l’America leader globale nel nucleare”, puntando così a trasformare l’attuale 19% di elettricità prodotta dai 94 reattori operativi in una quota dominante nel mix energetico nazionale, un piano che ha come obiettivo quello di riconfigurare il futuro elettrico del Paese; il segretario all’Energia Doug Burgum ha attaccato gli anni di regolamentazione asfissiante, annunciando l’uso del Defense Production Act per assicurare riserve di uranio e valutare sia il ripristino di centrali dismesse che l’installazione di impianti in basi militari.
L’iniziativa risponde a una domanda energetica che cresce, aumento determinato anche dall’espansione dei data center e dell’intelligenza artificiale – due settori che consumano quantità enormi di energia e che quindi necessitano di soluzioni rapide e strutturate – ma gli esperti rimangono dubbiosi, in quanto, negli ultimi 50 anni sono stati costruiti solo due nuovi reattori, con spese fuori controllo – +17 miliardi di dollari in Georgia – e ritardi che hanno sfiorato i 15 anni; senza un’accelerazione concreta e reattori di nuova generazione effettivamente operativi, l’obiettivo del 2050 rischia di restare un’ambizione irrealistica, soprattutto mentre la NRC calcola almeno tre anni per approvare anche solo i progetti oggi in fase di valutazione.
Trump e energia nucleare: entusiasmo industriale ma allarme degli esperti su sicurezza e scadenze
Mentre startup emergenti come Oklo e Radiant Nuclear esultano definendo i nuovi decreti di Trump come un cambiamento rivoluzionario, il mondo scientifico lancia segnali d’allarme, ad esempio, Edwin Lyman dell’Union of Concerned Scientists ha denunciato che l’indebolimento dell’indipendenza della NRC costituirebbe una violazione dell’Atomic Energy Act, aprendo così la strada a rischi gravi, fra incidenti operativi e possibili attacchi terroristici.
Sulla stessa linea si trova Gregory Jaczko – ex presidente della NRC sotto l’amministrazione Obama – che ha liquidato le misure come una “ghigliottina per la sicurezza nazionale”, accusando Trump di ignorare questioni fondamentali come la gestione delle scorie radioattive poiché oltre 90.000 tonnellate si trovano in depositi provvisori, senza un piano definitivo; le critiche vertono anche sulla vulnerabilità strutturale degli impianti (un tema assente nel discorso presidenziale) dove non si è fatto cenno ai benefici climatici dell’energia atomica, preferendo focalizzarsi sulla retorica della “competizione con Cina e Russia”, un mantra già sentito che però è il riflesso di una corsa internazionale al nucleare.
Pechino e Mosca lavorano su reattori di nuova generazione, il Canada ha già avviato la costruzione di quattro piccoli impianti modulari in Ontario e mentre la pressione globale aumenta, i tempi restano il vero ostacolo: anche con la legge firmata da Biden nel 2024, che promette iter autorizzativi più snelli, l’NRC prevede comunque il 2030 come data più ottimistica per vedere in funzione i primi progetti.
Intanto, l’industria si mostra spaccata: Isaiah Taylor di Valar Atomics celebra la “riduzione della burocrazia” come una liberazione necessaria, mentre altri fanno notare che i reattori promessi entro il 2026 – come quello di Oklo – sono ancora lontani dall’essere realizzati, mancando anni di test, certificazioni e verifiche e senza un piano preciso su scorie e sicurezza, il sogno nucleare di Trump rischia di trasformarsi non in un rilancio industriale, ma in un possibile tracollo ambientale e finanziario.