I dazi, la pace in Ucraina e in Medio Oriente, il confronto con la Cina. Per non parlare di Panama e della Groenlandia: i piani di Trump, almeno sulla carta, cambieranno il mondo. Ma uno degli obiettivi della sua amministrazione, dichiarati a più riprese, è quello di snellire la pubblica amministrazione, di diminuire il peso della burocrazia, anche a costo di tagli del personale pubblico. E, a quanto pare, il tycoon si è mosso su questo piano.
Reuters ha raccolto le voci proprio di questo personale, preoccupato per l’arrivo, nell’Agenzia per le risorse umane, degli esperti di Elon Musk, che si sarebbero messi al lavoro h24 per vedere come realizzare le promesse elettorali del presidente americano, addirittura togliendo ai dipendenti dell’ufficio la possibilità di accedere ai sistemi informatici con tutti i dati di chi lavora nel settore. Insomma, spiega Rita Lofano, direttore responsabile dell’AGI, Trump sta cercando di mantenere le sue promesse, anche se dovrà dimostrare al Congresso che questo non costerà troppo alle casse dello Stato.
L’obiettivo, d’altra parte, è mettere mano anche al Deep State, a quella parte dell’alta amministrazione che risulta inamovibile ed esercita una grande influenza sulle decisioni da prendere. Ma si vuole anche intervenire su agenzie come la SEC (controllo della Borsa) e la FED (Banca centrale), le cui scelte possono mettere i bastoni fra le ruote a Trump e impedire l’attuazione dei suoi piani in economia.
Lo staff di Musk è al lavoro per i tagli all’Agenzia del personale e l’amministrazione Trump ha dato ai dipendenti pubblici la possibilità di dimettersi con otto mensilità garantite. Le idee del presidente USA sono “rivoluzionarie” anche nel campo del pubblico impiego?
Trump vuole tenere fede alle sue promesse: ha creato il ministero dell’efficienza di governo, il Department of Governative Efficiency (DOGE) affidandolo a Musk, che ha promesso di tagliare 2,2 milioni di dipendenti. Le lettere inviate ai lavoratori prevedono una buonuscita, lo stipendio e tutti i benefit correlati fino a settembre, ma questo ha un costo. E tutto ciò comporta un problema: la gestione del bilancio dello Stato è in capo al Congresso, nessun ministero può disporre di fondi pubblici senza il suo via libera. Trump, in realtà, punta a un taglio della spesa, ma, come in molte altre scelte avviate con ordini esecutivi, incorrerà in tutta una serie di ricorsi e di sfide. I sindacati si sono già mobilitati. Certo, la linea del presidente è dura. Quanto al blocco dell’accesso ai sistemi informatici, credo che sia stato attuato per evitare interferenze nel lavoro.
Si dice che il gruppo di lavoro di Musk abbia addirittura messo dei letti in ufficio per lavorare a tutte le ore del giorno e della notte: sono così determinati a raggiungere il loro scopo?
Mi sembra che l’ufficio di bilancio abbia stimato che se venisse tagliato anche solo il 2% della forza lavoro federale, si potrebbero risparmiare 100 miliardi all’anno. L’uscita dal lavoro prospettata finora è comunque su base volontaria. Ovviamente tutto ciò crea una preoccupazione: i sindacati temono che si tratti di una sorta di minaccia di licenziamento. Il nodo da sciogliere, comunque, è quello dell’uso di fondi pubblici per finanziare le uscite anticipate, perché in questo caso bisogna passare per il Congresso.
Questo intervento fa parte del grande piano di Trump anche per cambiare il cosiddetto Deep State, per liberarsi di chi potrebbe mettergli i bastoni fra le ruote?
Vuole mettere persone sue nei posti chiave: lo sta facendo al Dipartimento di Giustizia, alla National Intelligence, per quanto il via libera a Tulsi Gabbard, dopo la sua audizione, stia incontrando qualche ostacolo. Diverso è però il discorso sulla pubblica amministrazione, che corrisponde alla promessa elettorale di migliorare i costi e diminuire la burocrazia. Sono due cose diverse. Nel primo caso si tratta di una scelta politica, nel secondo di taglio dei costi ed efficientamento.
Intanto sembra vacillare l’incarico a Robert Kennedy alla Sanità: ci sono perplessità anche in campo repubblicano. Rischia davvero il posto? Trump terrà duro come ha fatto con Pete Hegseth al Pentagono?
La sua nomina incontra qualche difficoltà, ma anche Hegseth sembrava vacillare e i repubblicani, invece, hanno serrato i ranghi, al netto delle senatrici Lisa Murkowski e Susan Collins. Vedo più a rischio Tulsi Gabbard di Kennedy, a causa delle sue dichiarazioni su Snowden, che si è rifiutata di definire un traditore, ma anche dell’ombra dei suoi legami con la Russia, proprio nel momento in cui si tratta per una tregua in Ucraina. Robert Kennedy è sempre stato controverso, con le sue dichiarazioni no-vax, le sue contraddizioni. Su temi delicati come la Russia, invece, i repubblicani potrebbero impuntarsi. La Gabbard, tra l’altro, ha incontrato Assad nel 2017, quando Trump ordinò il lancio dei missili contro il regime a causa degli attacchi con armi chimiche contro la popolazione.
La volontà di cambiamento di Trump riguarda anche agenzie come la SEC e la FED. Già la sua decisione di puntare sulle criptovalute sottrae alle due strutture una parte del loro potere. Vuole depotenziarle anche per il resto?
Trump ha sempre detto che, sui tassi di interesse, Powell e la FED non hanno tagliato abbastanza il costo del denaro. Si tratta di un braccio di ferro che continua da tempo. Il presidente punta a una maggiore deregulation anche nel campo finanziario: l’indicazione che arriva è questa. Non vuole tanto diminuire i poteri della Fed, ma cambiare le regole. Si era già opposto a quelle introdotte da Obama all’indomani del crollo di Wall Street sulla documentazione che le società dovevano esibire alla SEC, penso che proseguirà in questa direzione, quella della riduzione degli oneri per gli operatori. Vale per i movimenti finanziari come per i bitcoin.
Tornando agli interventi sull’amministrazione pubblica, l’unico rischio che corre Trump è quello che gli vengano rinfacciati i costi della riduzione del personale, visti gli incentivi promessi? In Italia un taglio del pubblico impiego così consistente probabilmente provocherebbe proteste di piazza. Negli USA si corre lo stesso pericolo?
I sindacati un po’ si sono mossi, però il loro peso in America, tolto quello del sindacato dell’auto, è relativo, non hanno mai avuto molta forza. Negli USA pesa il costo dell’operazione. La resistenza che può incontrare Trump, insomma, non è paragonabile a quella che potrebbe esserci in Italia, perché comunque i vincoli sui licenziamenti e i ricollocamenti sono molto meno forti. Anche culturalmente, l’America è favorevole a un minor peso dello Stato: è il mantra dei conservatori americani. È quello che Trump ha promesso in campagna elettorale.
(Paolo Rossetti)
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