Donald Trump si trova nei Paesi del Golfo Persico: una missione in cui gli affari e la geopolitica si intrecciano
Donald Trump ha cominciato ieri la sua missione nel Golfo Persico che, dopo la tappa iniziale in Arabia Saudita, lo porterà in Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Una missione in cui gli affari e la geopolitica si intrecciano, ma che ricorda anche quanto siano strategici i rapporti con il Medio Oriente, come evidenzia Giulio Sapelli, professore emerito di storia economica all’Università degli studi di Milano.
Nei giorni scorsi è stato ricordato come quello nel Golfo Persico fosse il primo viaggio all’estero di Trump in questo suo secondo mandato, a parte la sua presenza a Roma per i funerali di papa Francesco. Come mai quest’area è così importante per il Presidente americano?
In primo luogo, perché, nonostante quel che lui stesso e i suoi sostenitori affermano, shale oil e shale gas non consentono agli Stati Uniti una piena autonomia energetica: hanno ancora assolutamente bisogno delle fonti energetiche fossili che arrivano dal Grande Medio Oriente. È questo in fondo il motivo per cui da sempre esiste un legame tra Usa e Arabia Saudita. Per Trump è poi importante cercare di portare avanti il percorso iniziato con gli Accordi di Abramo siglati sul finire del suo primo mandato.
Accordi che hanno visto l’adesione di altri Paesi rispetto a quelli iniziali (Israele, Bahrain, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti), ma che in questo frangente sembra difficile potenziare.
Per gli Stati Uniti è importante l’alleanza militare-politico-strategica sia con Israele che con l’Arabia Saudita, Paese che, grazie a Washington, garantisce la difesa delle dinastie del Golfo. Sullo sfondo c’è poi sempre l’Iran, che già subito dopo la Rivoluzione khomeinista ha manifestato la volontà di dotarsi di un’arma atomica e porsi, quindi, come grande potenza mondiale.
Non va poi dimenticata la presenza degli Houthi in Sudan, Paese che è partner degli Accordi di Abramo, ma che, oltre a essere teatro di una guerra civile, si sta sempre più avvicinando all’Iran e sul cui suolo scorre il Nilo, fiume cruciale per il sostentamento dell’Egitto. Trump non può, quindi, non occuparsi costantemente del Medio Oriente.
L’Arabia Saudita ha, però, intessuto relazioni anche con la Cina e sembrava sul punto di aderire ai Brics…
La storia ci dice che gli arabi stringono alleanze diverse che da un momento all’altro possono cambiare. Le alleanze con loro vanno coltivate e conquistate giorno per giorno. E Trump è lì anche per allontanare l’Arabia Saudita dalla Cina, che, come l’Iran, non ha mai visto di buon occhio il progetto della Via del cotone (corridoio Imec). Un progetto così inviso da richiedere quel che è accaduto il 7 ottobre del 2023, l’aggressione di Hamas contro lo Stato ebraico, per fermarlo.
Trump proverà a portare avanti la Via del cotone?
Credo di sì, anche perché nell’incontro di febbraio con il Primo ministro indiano Modi ha confermato l’interesse dell’Amministrazione americana per il progetto che avrebbe una funzione anti-cinese e contribuirebbe a mantenere l’India vicina all’Occidente.
Sembra che Trump sia andato nei Paesi del Golfo anche per garantirsi investimenti negli Stati Uniti per centinaia di miliardi di dollari. Cosa ne pensa?
Stiamo parlando di Paesi che hanno effettivamente moltissimi soldi a disposizione e penso che lo sforzo di Trump sia quello di cercare di spostare le finanze saudite, le più importanti dell’area, dalla City di Londra e da Wall Street verso gli investimenti necessari a reindustrializzare gli Stati Uniti. A mio avviso tutto questo è collegato con Neom, la megalopoli lunga 170 km che l’Arabia Saudita intende costruire in un’area oggi desertica.
In che modo è collegato?
Per costruire grattacieli e quella che vuole essere una smart city all’avanguardia serviranno macchinari, materiali e tecnologie che probabilmente arriveranno dagli Stati Uniti e da Israele. Un progetto in cui anche la Turchia, la cui area di influenza in Nord Africa è in forte espansione, vorrà riuscire a entrare. Non a caso Erdogan è molto attivo sul fronte dei negoziati tra Russia e Ucraina.
Tutto questo ci dice anche come l’Europa sia sempre più marginale in Medio Oriente…
Certamente. Questo principalmente perché non usa la sua proiezione militare. La Marina militare italiana sarebbe anche la regina del Mediterraneo e l’Italia, che è tornata a guardare verso l’Africa, dovrebbe guardare anche al Medio Oriente, ma ci vuole anzitutto un’idea geo-strategica, un progetto, qualcosa che vada oltre i rapporti economici, come faceva Mattei. Conta molto anche riprendere il dialogo interreligioso, ma la cosa più importante che oggi manca, in Italia come nel resto d’Europa, è la politica.
(Lorenzo Torrisi)
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