Trump negli ultimi giorni ha esplicitato tutta la propria disistima per il Presidente della Fed, Powell, reo di non voler tagliare i tassi nonostante i “prezzi siano calati”. In questi giorni si specula sulla possibilità che l’inquilino della Casa Bianca possa provare a licenziare Powell. Trump potrebbe non avere il potere di cambiare il Presidente della Fed; i toni però lasciano intendere che l’Amministrazione valuterà attentamente qualsiasi spiraglio legale possa portare a questo esito. La polemica dà la misura di quanto sia confusa questa fase.
Da un lato, emergono segnali di rallentamento dell’economia e di peggioramento della fiducia delle imprese e dei consumatori. L’economia e i consumi americani sono stati sostenuti in anni di inflazione a due cifre da stimoli fiscali da economia bellica e quindi i tagli di Trump hanno effetti amplificati rispetto a congiunzioni normali. L’incertezza generata da mesi di minacce sui dazi e poi, nelle ultime settimane, da annunci e contro-annunci obbligano le imprese a scelte prudenti sia in termini di investimenti che di assunzioni.
Questo, nel breve, rischia di dare il via a un circolo vizioso per l’economia. Per Trump è quindi importante controbilanciare con un taglio dei tassi che aiuta i mercati e soprattutto quel processo di investimenti industriali che si auspica in America.
Powell, invece, è obbligato a prendere in considerazione altri rischi. Sostituire 500 miliardi di importazioni all’anno di prodotti cinesi e, più in generale, la politica commerciale della nuova Amministrazione implicano rischi al rialzo sui prezzi che non sono quantificabili. Le negoziazioni sono ancora in alto mare e non si può escludere un impatto sull’offerta fisica di beni nei supermercati e un generale rialzo dei prezzi. Meno di tre giorni fa Powell ha dichiarato che uno shock al rialzo potrebbe avvenire anche in una fase di rallentamento economico.
I tassi troppo alti, lo spauracchio di Trump, rischiano di compromettere quel processo di ricostituzione della capacità industriale che nel lungo periodo può risolvere il calo dell’offerta derivante dai dazi.
Mettere a fuoco i rischi è complicato perché siamo di fronte alla rottura di un sistema, quello della “globalizzazione”, che durava da decenni; in questi casi immaginare il futuro è persino più complicato di quanto non sia in tempi normali. L’Amministrazione americana, è emerso a più riprese negli ultimi giorni, è perfettamente consapevole dei rischi di un aggiustamento al rialzo, “una tantum”, dei prezzi. È un cambiamento che non preoccupa nella misura in cui si inserisce in un processo virtuoso in cui anche i salari crescono.
Trump potrebbe alla fine riuscire nell’intento di rimuovere Powell, ma a quel punto si porrebbero immediatamente due questioni. La prima, banale, è che a valle del precedente niente assicura che non si possa ripetere una o più volte anche durante la stessa Amministrazione. La seconda è che a quel punto i mercati sconterebbero immediatamente aspettative di inflazione più alte nel medio e lungo termine e che queste attese si rifletterebbero sui mercati generando, come minimo, volatilità.
Il punto più critico del programma di Trump cade proprio sui mercati come si è visto benissimo due settimane fa. Forse occorre immaginare mercati dei capitali molto diversi da quelli che abbiamo conosciuto; probabilmente molto meno “liberi”.
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