Il tumore al colon retto è in aumento tra i giovani: a lanciare l’allarme sono i medici, che hanno notato un incremento di questo particolare tipo di cancro in fasce d’età sempre più basse, anche 20-29. La comunità scientifica occidentale si sta interrogando sulla necessità di rivedere al ribasso l’età degli screening, visto che quelli riservati alla popolazione tra i 50 e i 69 anni, grazie alla diagnosi precoce, hanno portato a una diminuzione dell’incidenza e della mortalità. Eppure, in una nota, Luigi Ricciardiello, professore associato di Gastroenterologia dell’Università di Bologna, Chairman del Research Committee, United European Gastroenterology, chiarisce:”Non è il caso di cantare vittoria: il tumore del colon retto resta, tuttavia, uno dei grandi big killer: secondo dati Aiom-Airtum nel 2018 nel nostro paese sono circa 28.800 i nuovi casi di colon retto negli uomini e 22.500 nelle donne”.
TUMORI AL COLON IN AUMENTO TRA I GIOVANI
La stessa Società italiana di gastroenterologia e endoscopia digestiva (Sige) conferma che la preoccupazione relativa all’aumento di incidenza di tumore al colon per i giovani arriva da uno studio americano su circa 500 mila uomini e donne che ha segnalato un pico soprattutto nella fascia di età compresa tra i 20 e i 29 anni. Risultati simili sono emersi da uno studio condotto in 20 paesi europei tra 188 mila giovani adulti, con l’incremento segnalato in questo caso nella fascia tra i 20 e i 39 anni. I gastroenterologi italiani ricordano che “bisogna tuttavia tener presente che molti dei fattori di rischio che portano all’obesità – sedentarietà, scarso consumo di frutta e verdura, consumo di carni rosse e processate – si associano anche ad un maggior rischio di cancro del colon retto: alla luce di questi dati epidemiologici a preoccupare è soprattutto la crescente obesità tra bambini e adolescenti, che rappresenta un vero e proprio ‘problema’ di sanità pubblica”. Diventa necessario dunque intervenire sull’obesità infantile, come ricorda il presidente della Sige, Domenico Alvaro, secondo cui “a scendere in campo per queste iniziative devono essere non solo le società scientifiche ma anche le scuole, dove sono diventanti improcrastinabili programmi educazionali volti ad insegnare ai nostri bambini ed adolescenti i corretti stili di vita oltre che le nozioni basilari di come si possono prevenire malattie ad alto impatto sociale”.