Peggiora la – già di per sé grave, ma ci torneremo a breve – deriva autoritaria della Tunisia con quello che il quotidiana El Pais definisce come il più ampio processo politico contro l’opposizione della fine nel 2011 della dittatura di Zin al-Abedin Ben Ali, il tutto mentre il paese nordafricano solamente lo scorso mercoledì è stato inserito dalla Commissione Europea all’interno della lista dei ‘paesi sicuri’ – che ricordiamo essere tali in quanto rispettosi dei diritti umani e senza alcun tipo di conflitto politico, sociale o militare al suo intero – nell’ottica di accelerare le procedure di rimpatrio dei migranti verso la Tunisia ed elaborare più rapidamente le richieste di visto.
Al di là della posizione della Commissione – che ad ora non ha ancora commentato la notizia del maxi-processo – è bene ricordare che la deriva autoritaria della Tunisia è iniziata grosso modo nel 2019 quando l’attuale presidente Kais Saied è salito per la prima volta al potere: tra repressione del dissenso e accentramento dei poteri nelle sue mani, la situazione è letteralmente esplosa nel 2021 quando ha letteralmente smantellato il Parlamento e la Magistratura diventando di fatto un uomo solo al comando; mentre la testimonianza chiara dell’autoritarismo di Tunisi sono state le ultime elezioni ad ottobre in cui il 70% del popolo non si è presentato alle urne, forte anche dell’assenza di reali alternative a Saied.
Tunisia, il processo contro i 40 oppositori del governo: sono stati accusati di “cospirazione” senza alcuna reale prova
Venendo a noi, il processo a cui facevamo riferimento nell’apertura di questo articolo è iniziato ufficialmente nel 2023 quando sono state mosse le prime accuse contro più di 40 oppositori – tra veri e propri leader politici, giornalisti, imprenditori ed avvocati – del governo della Tunisia: buona parte erano scappati all’estero approfittando dei loro passaporti e una decina scarsa era stata immediatamente arrestata; mentre le udienze in aula (in larga parte in contumacia) si sono aperte lo scorso marzo.
Tutti e 40 gli oppositori alla fine sono stati condannati e pene tra i 13 e i 66 anni di reclusione e i nomi più importanti includono Issam Chebbi – ex leader del partito di opposizione Al Joumhouri -, Jawhar Ben Mbarek – co-fondatore dell’opposizione del Fronte di Salvezza Nazionale -, Abdelhamid Jelassi – ex leader del partito islamico Ennahdha – e decine di noti imprenditori ed attivisti della Tunisia: tutti sono stati accusati di “cospirazione” contro il governo, con l’accusa interamente sostenuta dalla testimonianza di soli due anonimi individui che hanno parlato di una cena nel corso della quale sarebbe stato formulato un “piano per la cospirazione interna ed esterna contro la sicurezza dello Stato”.
Dal conto della difesa, il presunto piano che ha portato alla condanna degli oppositori in Tunisia altro non sarebbe che “una tabella di marcia per il dialogo nazionale”, denotando anche che nelle perquisizioni condotte a casa degli indagati “non sono state trovate armi” utili ad avvalorare l’idea dell’esistenza di un piano per “rovesciare il governo con la forza”; mentre secondo l’ONG Human Rights Watch si è trattato di un processo nel quale è stato garantito agli imputati “il minimo grado di giustizia” che dimostra perfettamente quanto si sia “drasticamente intensificata” la repressione del dissenso in Tunisia.