Chi di dazi colpisce, di dazi… Parliamo ovviamente dei dazi di Trump, conditi dalla sua retorica autarchica e dal rimbombo generato dagli stranieri che sbarcano negli Usa con visti turistici regolari e green card che però vengono trattenuti dai funzionari dell’immigrazione statunitensi.
Adam Sacks, Presidente di Tourism Economics, società di Oxford Economics che si occupa di turismo, ha detto a Forbes che tutto ciò “sta diventando ostacolo significativo per l’industria dei viaggi statunitense”. Anche perché l’economia diventa presto emozione: dai dazi alla rabbia il passo è breve. L’antica domanda sorge quindi spontanea: cui prodest?
In generale, è evidente che gli imprenditori alberghieri americani dovranno affrontare spese aggiuntive: costi per nuove costruzioni e costi per beni mobili. I costi dei materiali da costruzione come l’acciaio potrebbero salire. Per non parlare del trasporto aereo, che già sta registrando un forte calo nei collegamenti tra Canada e Usa, mentre i costruttori temono gli impatti dei dazi sulla disponibilità delle componenti, e Boeing deve incassare il rientro degli aeromobili rifiutati in ritorsione dalla Cina.
Proprio i timori per i dazi e il rallentamento della domanda hanno già fatto registrare pesanti cali a Wall Street: i titoli di Delta Air Lines e United Airlines hanno ceduto circa il 23% a marzo, quello di American Airlines ha perso il 24%, il titolo della low cost JetBlue Airways il 22%.
Partendo dal presupposto che il turismo internazionale si basa sull’importazione di turisti-consumatori da altri Paesi, è evidente che si tratta sì di ospitalità, ma soprattutto di commercio-turismo internazionale, che per l’Italia vale almeno il 50% del movimento turistico complessivo, originato anche dagli Stati Uniti. Ma con le notizie sconfortanti in arrivo dalle dogane Usa, quanti turisti saranno ancora vogliosi di visitare gli Stati Uniti, già sufficientemente invisi proprio per i Trumpazi?
Sono tanti gli analisti statunitensi che già accusano le politiche di Trump di portare a un dimezzamento della crescita dei viaggi negli Stati Uniti. E per contro, come sostiene l’economista Antonio Preiti, proprio i Trumpazi potrebbero portare una spinta notevole al turismo americano in Italia (e in genere in Europa), basata, oltre che sull’inossidabile appeal del Vecchio continente e dell’Italia, sul differenziale inflattivo: “Visitare l’Italia nel 2025/26 costerà ancora meno, molto meno, rispetto a oggi”.
Certo, il rovescio della medaglia è noto. Marco Barbieri, Segretario nazionale di Confcommercio, ammette che “il rischio di aumento dei prezzi c’è per tutti, e c’è anche il timore di perdere turisti americani”, che potrebbero restare paralizzati dalle incertezze economiche dettate dalle politiche ondivaghe dell’Amministrazione federale. Incertezze a stelle e strisce, insomma, ma la spesa per i viaggi degli statunitensi è prevista stabile: nonostante le prospettive ondivaghe, le famiglie hanno pianificato di confermare o aumentare la spesa per i viaggi.
Indovinare l’andamento del turismo internazionale è oggi per tutti un azzardo. Anche in Italia si cerca di capire come i dazi influiranno, e non è cosa di poco conto: Paolo Barletta, protagonista del turismo di altagamma in Italia, ammette che “gli americani sono per noi il primo mercato”.
“In un contesto internazionale in cui persistono incertezze economiche e tensioni geopolitiche – ha sostenuto Marina Lalli, presidente di Federturismo in un intervento su L’Economista – l’introduzione e l’applicazione di dazi commerciali rappresentano un fattore aggiuntivo di complessità che si ripercuote su diversi settori, incluso il turismo. Nonostante l’introduzione di potenziali dazi su beni e servizi, gli Stati Uniti al momento si confermano una meta turistica importante, con previsioni di arrivi internazionali pari a 77 milioni, un dato che suggerisce una certa resilienza del desiderio di viaggiare verso gli Usa, nonostante le possibili ripercussioni economiche.
L’interesse per i viaggi oltreoceano da parte di mercati strategici come l’Italia, la Spagna e la Francia rimane alto anche se è plausibile che i dazi possano incidere sui costi complessivi dei viaggi, ad esempio attraverso l’aumento dei prezzi dei voli, dei beni acquistati in loco o dei servizi turistici, potenzialmente modificando le abitudini di spesa dei turisti o la frequenza dei loro spostamenti”.
“Indubbiamente – dice Lalli – sebbene il mercato turistico globale mostri segnali incoraggianti per il 2025, l’introduzione e la persistenza di dazi commerciali rappresentano un elemento di incertezza che potrebbe moderare la crescita prevista o alterare i flussi turistici. Le conseguenze potrebbero manifestarsi in un aumento dei costi per i viaggiatori, in una potenziale rimodulazione delle destinazioni preferite e in una maggiore attenzione al budget da parte dei consumatori.
La resilienza del settore turistico e la forte domanda di esperienze di viaggio potrebbero in parte compensare questi effetti, ma è fondamentale monitorare attentamente l’evoluzione delle politiche commerciali e il loro impatto sul mercato globale del turismo”.
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