TURISMO & LAVORO/ Il paradosso dei posti vacanti che non si spiega solo col Reddito di cittadinanza
Nella lunga filiera del turismo italiano mancano all’appello tra le 200 e le 300 mila figure professionali. Un problema di non poco conto

Nella lunga filiera del turismo italiano mancano all’appello tra le 200 e le 300 mila figure professionali: non ci sono, non si trovano. Nel frattempo, il tasso nazionale di disoccupazione s’aggira attorno al 9%, ma per i giovani s’arriva al 27%, mentre cresce anche il numero degli inattivi tra i 15 e i 64 anni: il tasso sale al 35,5%. Sembra un paradosso, è sostanzialmente lo è, anche se occorre aggiungere qualche altro dato per comprendere bene la situazione. Quanto accade nel turismo, cioè la mancanza di personale, succede anche in molti altri settori, a partire dalla logistica, dall’autotrasporto in genere, fino al primario, il lavoro legato all’agricoltura, o alla sanità, o ai servizi alla persona, o all’edilizia, che per accompagnare il boom legato ai superbonus avrebbe bisogno di forze lavoro adeguate.
Sono deficit solo in parte compensati dai nuovi contratti: degli oltre 3,3 milioni di quelli attivati nei primi sei mesi del 2021 quasi la metà è part-time, e non per scelta del lavoratore, ma delle imprese, poco disposte a impegnarsi sul lungo periodo in un clima giudicato ancora “incerto”. La grande ripresa, insomma, sembra poco strutturale, e molto a tempo parziale. L’ultimo salvagente galleggia sul decreto flussi, quello che ogni anno stabilisce il numero di cittadini stranieri che possono fare ingresso in Italia per svolgere attività di lavoro subordinato non stagionale e lavoro autonomo (un decreto ad hoc è previsto per gli stagionali). Ma il decreto ritarda, la situazione s’aggrava e il non riconoscimento delle vaccinazioni fatte con sieri non contemplati dall’Ue limita i possibili (ma comunque non certi) arrivi dall’estero.
Nel frattempo, l’inflazione rialza la testa (+3% rispetto all’anno scorso), i prezzi salgono (in primis quelli delle bollette energetiche) e gli effetti della crisi pandemica si fanno vedere anche nella gdo, la grande distribuzione, che sembrava immune e anzi espansiva anche durante i lockdown: dopo il ritiro di Auchan, l’altro colosso francese, Carrefour, ha appena annunciato la chiusura di 106 punti vendita, con conseguenti 769 posti di lavoro a rischio.
Tornando al turismo, l’analisi del ministro Massimo Garavaglia (ribadita anche qualche giorno fa al forum “Il cantiere delle riforme del governo Draghi 2021”) è chiara: “Dobbiamo essere al top della qualità – ha detto – e il supporto dei professionisti è fondamentale, dato il numero elevato di piccole e medie imprese italiane impegnate in questo campo. Nell’immediato la mancanza di forza lavoro è grave: il Reddito di cittadinanza ha distorto il mercato, vanno trovati correttivi. Serve sviluppare competenze in tempi rapidissimi. Manca personale italiano e serve personale straniero”. Si ritorna dunque a invocare il rapido rilascio del nuovo decreto flussi. Ma anche far salire solo il Rdc sul banco degli imputati non soddisfa: l’odierna carenza di forza lavoro, come si dice, è un fenomeno che ha radici lontane e stratificate, adesso solo accentuato dall’alternativa offerta dal Reddito di cittadinanza.
Nel turismo, nell’ospitalità, nella ristorazione si è andata perdendo poco a poco la dignità del lavoro, con considerazione riservata solo alle figure apicali, e lasciando per strada il coinvolgimento di quelle più basiche. Si sono diluite fino a spegnersi le difese sindacali dei diritti, dei tempi, delle retribuzioni. Si è lasciata troppa libertà alla contrattazione diretta, soprattutto tra microimprese (quelle a conduzione familiare che in Italia costituiscono la stragrande maggioranza) e lavoratori, con salari non proporzionati agli impegni imposti. Si è puntato su orari spezzati, in un lungo arco giornaliero, si è richiesta spesso una corta stagionalità, senza proporre null’altro nei periodi vuoti, e si sono chieste disponibilità a trasferimenti importanti, senza curarsi degli eventuali alloggi. Ma soprattutto, davvero prima di tutto il resto, si sono applicate al lavoro condizioni fiscali assurde, nell’affondo di un cuneo che non ha uguali in Europa, una pressione che ha motivato nelle imprese tutto quanto detto prima. È logica la disaffezione dei lavoratori, il mancato appeal di un lavoro quasi sempre malretribuito e logorante, che difficilmente suggerisce possibilità di crescita, considerazione, orgoglio, insomma uno status privo di soggezioni e inferiorità.
E dire che il cameriere è il primo biglietto da visita per un ristorante, una figura professionale che, oltre ovviamente al cibo, contribuisce fortemente a creare l’esperienza e il ricordo del locale. Oppure che il receptionist è allo stesso modo la facciata del resort, il primo contatto con l’hospitality proposta, quello che fa dire all’ospite “ho scelto bene” o “qui non mi vedranno più”. “Dobbiamo correre: questo cambiamento epocale impone ragionamenti molto più veloci”, ha detto ancora il ministro. Un ragionamento veloce, velocissimo oggi andrebbe fatto proprio sull’attrazione generata dalle imprese, che dovrebbero coinvolgere ogni dipendente nel loro progetto, mettendo a terra ogni competenza, grande o piccola che sia, agevolando una necessaria formazione continua e garantendo tempi e retribuzioni certe e adeguate.
Il Rdc ha probabilmente spinto al non-lavoro chi già era ben poco propenso all’impegno. E la crisi, con le chiusure delle attività (tra l’altro, a Roma in dicembre secondo Federalberghi aprirà solo una struttura su due) e le conseguenti incertezze sul futuro, ha spinto anche personale formato verso altre attività. Adesso ci si ritrova aggrappati al decreto flussi, ma la china va risalita rapidamente, per non ritrovarsi come la nostra Nazionale, che non trova un centravanti perché in serie A giocano solo stranieri.
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