Un attacco in cui sono morte 34 persone, soprattutto civili, compresi due bambini. Con più di cento feriti. Ma che, al di là delle interpretazioni e delle strumentalizzazioni, ha messo in evidenza differenti posizioni nell’amministrazione americana riguardo alla questione ucraina.
E, soprattutto, fa notare Fabio Mini, generale già capo di stato maggiore della NATO per il Sud Europa e comandante delle operazioni di pace della NATO in Kosovo (autore de La Nato in guerra, Dedalo, in uscita il 18 aprile), ha instillato il dubbio che la nuova offensiva russa, che molti analisti hanno annunciato come imminente, in realtà sia già partita.
Le reazioni al blitz dei russi a Sumy sono state molto dure da parte ucraina, americana ed europea, ma la vicenda sembra confermare l’intenzione di Putin ottenere sempre maggiori acquisizioni territoriali e al tempo stesso di negoziare con gli americani. Tutto questo mentre Trump cerca ancora un risultato concreto.
L’attacco a Sumy ha riacceso le polemiche contro la violenza militare dei russi. Come si spiega secondo lei?
Trump dice che ha parlato con Mosca e che gli è stato assicurato che si tratta di un errore. I russi potrebbero aver sbagliato a colpire Sumy, oppure c’è stato un errore tecnico e, invece di andare su un obiettivo, sono andati su un altro.
Penso, però, che il caso potrebbe trasformarsi in un avvertimento russo all’Occidente, per far capire che cosa può succedere se si va avanti con la retorica della preparazione alla guerra: un conflitto comprende anche vicende come questa. Le grandi stragi di civili fanno parte delle guerre.
Nell’attacco della Domenica delle Palme, però, sono stati colpiti diversi civili, secondo qualche versione gente che andava a Messa. Nella gravità della guerra, non è una vicenda ancor più grave di altre?
Ripeto, purtroppo ci sono delle stragi non volute che non sono estranee alla guerra. Quello che non fa parte di un conflitto è il genocidio, come ciò che Israele sta mettendo in atto a Gaza. Mi colpisce questo doppiopesismo: si parla soltanto dei 34 morti di Sumy e dei 50mila morti della Striscia, dove le persone vengono lasciate morire di fame, nessuno dice niente.
La Tass, l’agenzia di stampa russa, riporta che, secondo il Cremlino, gli attacchi vengono sempre condotti contro obiettivi militari. Anzi, sostiene che Kiev usi i civili come scudo umano e che il personale militare ucraino sia stato presente nel centro della città. Una versione plausibile?
Non credo proprio ci fosse l’intenzione di far fuori dei civili che andavano a Messa, potrebbe essere stato sbagliato l’obiettivo, oppure in quella zona c’era qualche obiettivo militare, strategico. Quella degli scudi umani è una scusa buona per tutti, la usa anche Israele contro Hamas.
Se veramente ci sono degli obiettivi militari nei paraggi, allora la spiegazione degli scudi umani potrebbe essere presa in considerazione. Gli ucraini si sono comportati così anche in altre occasioni, a Mariupol per esempio. Tutto questo conferma il mio sospetto, anche perché la strumentalizzazione di questa storia è avvenuta immediatamente.
Qual è il motivo, allora, per cui si è cercato di far passare una certa versione dei fatti?
Non dico, naturalmente, che sia stato tutto architettato, ma che ci sia stato un evento disgraziato, non voluto, che fa parte comunque della guerra, che sia stato subito trasformato e politicizzato. Il problema è che gli ucraini hanno sempre in mente di coinvolgere direttamente gli occidentali nella guerra. Ogni scusa è buona per far cambiare idea agli americani, anche se è molto difficile.
Trump ha detto che si è trattato di un attacco orribile, ma che potrebbe essere stato un errore; Kellogg, inviato USA per l’Ucraina, che si sono superati i limiti della decenza. Come la pensano veramente gli americani?
Queste prese di posizione mostrano che dentro lo staff di Trump c’è chi non è d’accordo con lui. Parlo di Kellogg e del segretario di Stato Marco Rubio, che rispecchiano l’atteggiamento molto americano contrario alla Russia e alla Cina.
Come si comporteranno, allora, gli statunitensi di fronte a questa situazione?
Gli americani devono portare a casa un risultato che sia la sospensione delle ostilità o una tregua. E, per ottenerlo, faranno promesse alla Russia, un’ipotesi ventilata anche da Steve Witkoff, secondo il quale a Mosca bisogna concedere qualcosa. Credo che l’episodio di Sumy venga strumentalizzato per fare in modo che la parte che sta dialogando con la Russia fallisca. Una strumentalizzazione che riflette anche una divisione interna allo staff di Trump.
Zelensky, intanto, ha invitato Trump ad andare in Ucraina per rendersi conto delle distruzioni subite dal suo Paese. Quale può essere il senso di un invito del genere?
Vista la reazione che l’attacco di Sumy ha suscitato in Zelensky e in una parte degli europei, l’episodio si presta ad essere utilizzato come un avvertimento all’Occidente: se succede un’altra volta, magari a Kiev, le conseguenze potrebbero essere molto più gravi. Quello che è successo può servire soprattutto ai falchi russi per dire: “Ci danno comunque dei criminali, tanto vale che facciamo fuori subito Kiev e la Rada e vediamo come rispondono gli altri”.
Quello che ora ci dobbiamo aspettare è che gli americani facciano ancora più pressione per ottenere una tregua?
Trump ha bisogno di frenare la deriva verso la quale sta andando la sua amministrazione: con i dazi e con la guerra che continua e non si risolve come lui avrebbe voluto, invece di andare avanti va indietro. Secondo me, però, più lanciano ultimatum e più Putin si irrigidisce: ho l’impressione che Putin si sia convinto di finire la guerra con la sconfitta militare degli ucraini.
Ci sono analisti secondo i quali i russi starebbero preparando una grande offensiva finale. Stanno pensando a quello?
Credo sia già cominciata. Quella su Sumy è già l’offensiva. È iniziata e l’Ucraina si trova in crisi perché è partita venti giorni prima di quando credesse, mentre i soldati si trovano senza munizioni. Che l’operazione sia già stata avviata lo deduco dalla ripresa dei territori prima di Kursk e adesso di Sumy, che è stato uno dei primi obiettivi presi e che, in seguito, è stato abbandonato.
Questo è anche un grande snodo ferroviario, di comunicazione per la logistica di chi procede verso Occidente. Ho l’impressione che qualcuno abbia convinto Putin, o che lui stesso si sia convinto, che i negoziati con Trump possano procedere per le vie normali, mentre, nel frattempo, vengono acquisiti obiettivi militari per ottenere una capitolazione militare dell’Ucraina. Che questo poi si possa trasformare in una minaccia nei confronti dell’Europa rimane, invece, una imbecillità assoluta.
(Paolo Rossetti)
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