Putin indice una tregua di tre giorni, ma il negoziato per l’Ucraina è bloccato. Le parti sono distanti:
La tregua di Putin a cavallo del 9 maggio non significa niente. Anzi, l’esito positivo delle trattative di pace è sempre più lontano, tanto che il vicepresidente americano J.D. Vance ha definito eccessive le richieste russe. Di fatto, osserva Maurizio Boni, generale di Corpo d’Armata e opinionista di Analisi Difesa, i segnali sono quelli di un proseguimento della guerra in Ucraina: d’altra parte gli USA hanno inserito nell’accordo per il sottosuolo ucraino anche una parte che riguarda l’assistenza militare, e, se dovessero abbandonare il negoziato, come minacciato dalla Casa Bianca, potrebbero continuare a sfruttare le ricchezze del territorio fornendo, a pagamento, le armi a Kiev.
Trump, in qualche modo, si ritroverebbe a fare quello che ha fatto Biden: un esito che non deporrebbe a favore del modo in cui sono state condotte le trattative con i russi, sottovalutando la portata delle richieste del Cremlino.
Intanto, alla parata del 9 maggio, in occasione degli 80 anni della vittoria sul nazismo, a Mosca potrebbero sfilare anche i soldati cinesi. Un altro segnale di forza per la Russia dal punto di vista militare.
Che valore ha la tregua indetta da oggi all’11 maggio da parte di Putin? È solo per festeggiare il giorno della vittoria senza intoppi o può aprire la strada a una svolta nella trattativa?
È una mossa politica di Putin, non ha niente a che vedere con lo sviluppo del conflitto, anche perché tre giorni non sono niente. Zelensky non ha alcuna intenzione di aderire alla proposta: dal punto di vista dell’Ucraina non avrebbe senso. Se accettasse, riconoscerebbe di fatto l’anniversario della vittoria di Mosca: sarebbe un segnale di apertura. Ma, per come si sono messi i negoziati, non ha nessuna intenzione di farlo. D’altronde, i segnali che emergono dalle trattative fanno presagire che il conflitto durerà ancora a lungo.
La pace sembrava possibile, ora si è bloccato tutto?
Il portavoce del Cremlino, Peskov, ha auspicato che avvenga il prima possibile un incontro tra Putin e Trump, perché ci sono parecchie questioni dirimenti che i negoziatori non riescono a risolvere.
Alla parata per celebrare gli 80 anni della vittoria sul nazismo ci sarà anche Xi Jinping. Che significato ha la sua presenza?
Se i soldati cinesi sfileranno nella parata a Mosca insieme ai russi, sarà un segnale molto importante, che si accompagna al riconoscimento ufficiale, da parte di Mosca, del ruolo dell’esercito nordcoreano nei combattimenti nel Kursk, esercito che potrebbe prendere parte anche all’offensiva in territorio ucraino. Il segnale è chiarissimo: la Russia non è sola e ha alleanze militari prima che politiche. Ciò che si mette sul piatto è proprio l’aspetto della potenza militare.
Siamo in una fase in cui si torna a mostrare i muscoli. Trump ha chiesto al Congresso di fornire aiuti militari per 50 milioni di dollari: anche gli USA hanno ripreso in considerazione l’idea di fornire armi agli ucraini?
Non si tratta di una sola fornitura: nella versione aggiornata del famoso accordo sulle “terre rare”, resa nota dal Kiev Independent, che riguarda lo sfruttamento di tutte le risorse energetiche e industriali dell’Ucraina, c’è una clausola in base alla quale i futuri aiuti militari statunitensi, compresa la tecnologia e l’addestramento, sono considerati parte del contributo degli Stati Uniti al fondo congiunto con l’Ucraina.
Cosa significa, nella sostanza, questa clausola?
Trump si tiene le mani libere: qualora i negoziati fallissero, si riserva il diritto di continuare a elargire aiuti, che potrebbero essere gratuiti oppure a pagamento. Tutto quello che potrà essere fornito in futuro lo sarà su base commerciale, con vendite dirette di armamenti, come si fa nei confronti di qualunque altro Paese. Vuoi i carri armati? Li paghi e te li do. Potrebbe avvenire, tuttavia, qualche donazione gratuita: Trump diceva che questa è la guerra di Biden, adesso è diventata anche la sua. Cambierà forse la portata degli aiuti, ma la sostanza non cambia.
L’accordo sulle terre rare, quindi, non è il primo passo per la pace, ma ci racconta che si sta prendendo una strada diversa?
La neutralità e la demilitarizzazione dell’Ucraina sono punti dirimenti nei negoziati; se gli USA mettono nero su bianco in un accordo che continueranno comunque ad assistere l’Ucraina anche dal punto di vista degli armamenti, significa, di fatto, il prosieguo della guerra. Sono armamenti che serviranno a Kiev per sopravvivere ancora non so quanti giorni o mesi, ma, in ogni caso, non sono un segnale di distensione.
L’inviato di Trump per l’Ucraina, Keith Kellogg, è tornato a parlare di una zona demilitarizzata di 30 km e di una tregua di 30 giorni: si può ancora puntare su questo?
Non ci sono le condizioni per una soluzione del genere. Per questo, secondo me, Peskov ha chiesto il vertice Trump-Putin: ci sono delle questioni che dovrebbero affrontare loro. Nel piano di pace di Trump, quello che la Reuters ha pubblicato il 29 aprile, ci sono 11 punti. A seguire, Lavrov lo ha commentato indicando un piano di 7 punti che vanno nella direzione opposta a quanto chiesto dal presidente americano.
Quali sono le differenze che al momento sembrano insanabili?
Trump e la sua amministrazione continuano a parlare dell’avvio immediato di negoziati per l’attuazione tecnica di un cessate il fuoco, ma i russi hanno detto mille volte che non è accettabile, perché, di fatto, è una trappola: congelando il conflitto, entrerebbero in Ucraina le truppe occidentali e Mosca avrebbe le mani legate.
Di quali truppe occidentali si tratta?
Il terzo punto del piano di Trump parla di garanzie di sicurezza all’Ucraina fornite da un contingente militare di Stati europei, che può essere integrato dalla partecipazione volontaria di Stati non europei. Torna il discorso del contingente che il Cremlino non vuole.
I media parlano, intanto, di una controffensiva ucraina nel Kursk: si ripetono le dinamiche della guerra evidenziate negli ultimi mesi?
Si abusa dei termini offensiva e controffensiva. Attacchi sporadici o puntate offensive di poche unità vengono subito etichettate come controffensiva, che indica invece un’operazione militare decisiva.
Ma Trump e Putin, guardandosi negli occhi, potrebbero veramente risolvere questa crisi oppure, viste le condizioni di partenza, alla fine non si incontreranno neanche per non dover annunciare il fallimento delle trattative?
Questo probabilmente è quello che spinge i due a non incontrarsi. Gli americani pensavano, in maniera semplicistica, di sbloccare la situazione offrendo alla Russia il riconoscimento de iure della Crimea e de facto degli altri territori, e promettendo di non far aderire l’Ucraina alla NATO. Sarebbe una grossa novità, ma non è abbastanza perché i russi si fermino. Trump aveva detto chiaramente che entrambe le parti dovevano fare delle concessioni, ma quelle che chiede ai russi, per Putin, sono questioni esistenziali. Anche la richiesta di mettere la centrale di Zaporizhzhia sotto controllo americano è stata respinta da Lavrov. Pensare determinate cose è molto ingenuo da parte americana.
A questo punto Trump potrebbe mollare i negoziati, come ha minacciato diverse volte?
Sta prendendo all’Ucraina quello che può per sfruttarla economicamente e poi continuerà a fornirle armamenti. Se glieli vende, ci guadagna anche lì. Non è una condotta brillante dei negoziati.
La Von der Leyen, intanto, dice che la miglior garanzia di sicurezza per l’Ucraina è entrare in Europa, proprio mentre diversi Paesi UE fanno capire che non vogliono l’adesione di Kiev. Ma Bruxelles può fare qualcosa?
Per l’Ucraina, probabilmente, sarebbe importante entrare nella UE. Bisogna capire se vale la pena per l’Unione Europea. Le esternazioni dei vertici europei, dalla von der Leyen alla Kallas, ai commissari, sono diventate dei mantra, hanno perso significato, anche perché bisogna chiedersi in quale misura rispecchino veramente la visione di tutti i Paesi dell’Unione.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.