L'Europa si trova a far fronte a importanti transizioni che mettono a rischio posti di lavoro se non adeguatamente affrontate
Il 21 ottobre la Commissione europea ha presentato il programma di lavoro per il 2026 intitolato “Il momento dell’indipendenza dell’Europa”, delineando varie azioni per aiutare a costruire un’Europa più sovrana e indipendente.
Gli obiettivi sono: rafforzare la competitività (riducendo la burocrazia attraverso proposte di semplificazione con un risparmio di oltre otto miliardi di euro per le famiglie e le imprese); guidare l’innovazione digitale e ambientale all’interno di un crescente modello sociale unico (attraverso misure per ridurre il costo della vita, un lavoro di qualità, iniziative sulla mobilità delle competenze dei lavoratori e affrontare le cause della povertà e della crisi abitativa); garantire la democrazia e uno stato di diritto (parità di genere e nuovi diritti per le persone con disabilità).
Si parla anche di difesa e sicurezza, (protezione dei territori confinanti e un impegno globale attraverso il sostegno dell’Ucraina, la Moldavia assieme a un Patto per il Mediterraneo, che comprende il sostegno alla transizione in Medio Oriente, in Siria e in Libano).
Nei giorni scorsi la Commissaria europea, la socialdemocratica rumena Roxana Minzatu, intervistata da Repubblica sui temi del salario e del lavoro, ha dovuto smentire il quotidiano che aveva titolato una sua intervista con: “Italia debole, c’è molto da fare per aumentare i salari” travisando il senso delle sue parole: “Nel 2024 abbiamo visto che i salari reali dell’Italia stanno mostrando una ripresa dopo anni di declino”.
In questa intervista la commissaria del Lavoro ha confermato che l’Italia non ha bisogno di applicare la Direttiva europea, contro il lavoro povero, attraverso la legge sul salario minimo, in quanto le retribuzioni sono garantite dalla contrattazione collettiva, diversamente dalla maggior parte degli Stati membri dell’Unione europea (tranne Austria, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia) che adottano un salario minimo per legge dove gli importi decisi nel 2025, dai vari Paesi membri vanno da quello più elevato come il Lussemburgo, con oltre 15 euro, a quello più basso della Bulgaria con poco più di 3 euro.
È evidente che per uscire dall’impoverimento del lavoro, da salari bassi, dalla crescita di lavoratori poveri, che accettano impieghi sottoqualificati e instabili per sopravvivere, non servono riforme sulla flessibilità senza l’aumento della produttività, ma occorrono anche politiche che incentivino l’emersione e la stabilizzazione attraverso prestiti ai Paesi dell’Unione così come proposto nel nuovo Bilancio europeo. Le istituzioni europee, i Governi e le parti sociali non possono eludere la questione salariale perché è uno dei fondamenti per riaffermare il valore del lavoro e difendere la dignità della persona.
Un altro tema di grande interesse, all’interno della proposta europea sul lavoro (Quality jobs roadmap), è quanto l’Intelligenza artificiale influenzerà il lavoro in termini occupazionali, quante nuove competenze cresceranno e come potrà contribuire alla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Su questo ultimo punto il Presidente Mattarella, intervenendo nei giorni scorsi, ha sottolineato che: “un lavoro non è vero se non è sicuro”. Allora l’uso della tecnologia deve essere visto per migliorare la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Una cintura di sicurezza per i lavori in quota, i futuri cantieri digitali nell’edilizia, l’utilizzo di droni, invece del lavoratore, per i controlli ad alta quota dei piloni elettrici è sempre tecnologia che serve a protezione di chi lavora.
Certo in questo caso è anche perdita occupazionale, ma questo vuol dire, come già fanno molte imprese e i finanziamenti europei, formare i lavoratori sulle nuove competenze dell’intera filiera produttiva interessata alla riconversione. Per questo è importante che le imprese comprendano che la sicurezza e la salute non sono un costo ma un investimento su chi lavora e sulle sue competenze.
Nonostante un’organizzazione del lavoro ancora basata sul modello taylorista e fordista, con mansioni ripetitive e parcellizzate a bassa competenza, l’Intelligenza artificiale, nel nostro Paese, avrà un impatto importante, alcuni lavori scompariranno e molti altri cambieranno, favorirà una forte crescita della produttività e un contemporaneo aggiornamento delle competenze dei lavoratori e di coloro che cercano lavoro.
Di fronte a questo cambiamento non possiamo pensare di fermare l’evoluzione delle nuove tecnologie. Così com’è necessario rilanciare la politica industriale europea perché la flessione della produzione industriale determinata anche dalla crisi dell’auto costringe più dell’8% dei lavoratori europei a non guadagnare abbastanza per coprire i bisogni basilari, ad avere in Italia, seppur in diminuzione, ancora 1,3milioni di Neet e 50 milioni di europei inattivi.
Il lavoro povero nasce anche dalle non scelte di politica industriale e dalla cosiddetta “decrescita felice” degli ultimi decenni che hanno fatto sì che nel nostro Paese si riducesse il livello di qualifiche professionali richieste, dall’assenza di coordinamento fra politiche formative e industriali.
Il tema dell’integrazione è una necessità dell’Europa come afferma la Commissaria Minzatu: “L’Ue ha già lavoratori non comunitari perché vi sono carenze in certi settori. Molte volte sono lavori mal pagati e spesso è manodopera a basso costo e questo nega la dignità delle persone”. Innanzitutto il tema della transizione demografica, come sempre riafferma la Dottrina sociale della Chiesa, è l’integrazione di queste persone e delle loro famiglie, che scappano dalla miseria, dalle guerre e dai cambiamenti climatici.
Integrarli vuol dire regolarizzarli e farli lavorare, ed è una necessità anche nostra. Serve però che venga loro insegnata la lingua italiana, perché, semplificando, come fa uno straniero a capire l’importanza delle regole su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro? Devono essere anche inseriti nei percorsi professionali, di riqualificazione e accompagnati verso un lavoro stabile che è certamente diverso da quello nero o da forme di caporalato e di sfruttamento come spesso succede.
Tra le sfide economiche globali, le transizioni digitali, demografiche, ambientali e le crisi geopolitiche, l’Europa deve tornare alle sue origini, per poter rispondere al tema del lavoro nella sua totalità. Perché la tutela del lavoro come espressione della dignità della persona è un dovere morale e civile, capace di costruire una società giusta e coesa, diversamente prevarrà unicamente il profitto che rischia di generare ulteriori forme di esclusione di diseguaglianze e di povertà.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.