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Home » Esteri » Gran Bretagna » UK, SCENARIO FARAGE/ Il suo “Reform” batte i laburisti, ma è un’alternativa ancora da capire

  • Gran Bretagna
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UK, SCENARIO FARAGE/ Il suo “Reform” batte i laburisti, ma è un’alternativa ancora da capire

Affermazione dell’estrema destra di Nigel Farage alle amministrative inglesi. Fino a quando gli basterà cavalcare la protesta dell’antipolitica?

Marco Zacchera
Pubblicato 3 Maggio 2025
Nigel Farage, leader di Reform (Ansa)

Nigel Farage, leader di Reform (Ansa)

Tutto il mondo è paese ed ogni Paese ha il proprio sistema elettorale. Quello inglese è da secoli il maggioritario classico, con il territorio diviso in collegi uninominali dove vince il candidato che prende più voti. Vince e stop, senza resti, quorum o recuperi su base nazionale o locale.

Da un secolo quasi tutti i collegi della Camera dei Comuni (quella dei Lord è di nomina regia, ma praticamente solo consultiva) sono andati alternativamente a un candidato conservatore o laburista, dopo che – a cavallo delle due guerre – i “labour” hanno soppiantato i “liberal” nell’opposizione ai “tories”.


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Ogni volta che arrivavano in scena nuovi partiti molto difficilmente riuscivano a imporsi, perché era sempre difficile arrivare alla maggioranza relativa per un singolo candidato. Situazione classica quella dei liberali, che – pur sfiorando il 25% dei voti a fine Novecento – non hanno quasi mai portato più che una pattuglia di deputati al parlamento di  Westminster.


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Questo, ovviamente, è lo schema classico di quando i partiti minori si insinuano nella sfida tra i due “grandi”. Ma se i partiti in corsa diventano parecchi, frantumando i due schieramenti tradizionali, ecco che chi vince può farlo anche stando molto al di sotto del 51%. Questo significa che la spaccatura rinforza l’avversario, senza dimenticare però che i candidati sono tradizionalmente molto legati al proprio territorio.

Lo stesso sistema, con pochi correttivi, avviene anche a livello amministrativo. Giovedì primo maggio si è votato per le elezioni amministrative di quest’anno, primo importante test per il premier Keir Starmer, dopo le elezioni dell’anno scorso che lo avevano visto leader di una trascinante vittoria dei laburisti. Vero che Starmer aveva approfittato della divisione nel campo avversario, dove i voti conservatori si erano divisi tra i tories e i sostenitori di Nigel Farage, leader dell’estrema destra e sostenitore della Brexit che portò all’uscita della Gran Bretagna dalla UE.


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Gli elettori dovevano ora eleggere 1.641 consiglieri in 23 consigli di contea (in pratica le nostre elezioni regionali), oltre a 6 governatori a capo di autorità territoriali che si occupano di trasporti, case popolari e sviluppo economico e urbanistico.

I primi risultati hanno sottolineato una forte crescita del partito “Reform” di Farage, che ha letteralmente scardinato risultati ed alleanze vincendo almeno in una elezione suppletiva parlamentare (dove il seggio era laburista) e nel Lincolnshire, surclassando i conservatori ed estromettendoli dal governo regionale. Un successo favorito anche dalle divisioni a sinistra, visti i relativi successi dei verdi e dei liberali che hanno messo in crisi il fronte laburista. Ora Reform ha 5 seggi nella Camera dei Comuni.

Quello per Reform è stato un evidente voto di protesta contro lo status quo e tutto l’establishment tradizionale: se l’anno scorso le elezioni politiche che hanno portato al governo il Labour di Starmer erano state un referendum contro i conservatori, adesso l’elettorato sembra già deluso dai laburisti e sembra rivolgersi all’unica alternativa rimasta, ossia l’estrema destra, che cavalca i temi classici dell’immigrazione e della crisi finanziaria delle classi meno abbienti.

È il sintomo di un disagio evidente che si era manifestato già nel 2016 con il voto in favore della Brexit, scelta di cui Farage era stato paladino, un’insofferenza a cui la classe politica non è mai riuscita a dare una vera risposta.

Sembra proprio che adesso l’alternativa, per quanto semplicistica e nebulosa, sia quindi incarnata da Farage, che però non è molto chiaro nelle sue posizioni, anche se può essere considerato un nazionalista più che un conservatore, un “populista” secondo il consueto gergo di moda a Bruxelles. Il suo successo sembra andare nel solco di altre forze analoghe un po’ in tutta Europa.

Il dubbio è quindi sul futuro, ovvero su come Farage, super-tifoso di Trump e di cui sembra ricalcare le orme in Gran Bretagna, vorrà schierarsi su moltissimi temi, dall’ambiente all’energia, alla guerra in Ucraina. Anche se mancano ancora quattro anni alle prossime elezioni e in queste condizioni è impensabile che i labour vogliano accelerare una crisi, non c’è dubbio che Farage abbia messo una forte ipoteca sul futuro della politica inglese.

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